Mose, la Mantovani ha avviato la mobilità per 170 dipendenti
Martedi 27 Settembre 2016 alle 10:37 | 0 commenti
Il colosso delle costruzioni «Mantovani» ieri ha lanciato la procedura di mobilità per 170 dipendenti: l’era dei grandi lavori è finita e non ci sono abbastanza appalti per pagare gli stipendi. Il patron Romeo Chiarotto si toglie un sassolino dalla scarpa e lo scaglia prendendo bene la mira: «Avviamo la mobilità perché sono otto anni che c’è crisi nel settore delle costruzioni, ed è tre anni e mezzo che Mantovani è sputtanata tutti i giorni – scandisce compito e netto – E se hai un lavoro, te lo tolgono per qualche motivo. La prima è la Regione che dice: la Mantovani? Non mi va che faccia questo lavoro, glielo tolgo». Click, fine del commento a caldo.
Tra una decina di giorni la trattativa si sposterà al ministero del Lavoro a Roma.
Ieri l’incontro tra sindacati e azienda ha segnato il punto di svolta per un colosso che al tempo (nell’era di Giancarlo Galan a Palazzo Balbi) era al centro di tutte le grandi opere, dal Passante alla tangenziale Sud di Vicenza col casello di Padova Est, il nuovo ospedale di Mestre e quello di Thiene, il tram di Mestre e una grossa partecipazione all’urbanizzazione del parco di San Giuliano, la ricostruzione del Teatro La Fenice, la riqualificazione di parte dell’Arsenale. E ovviamente il Mose, che doveva essere fiore all’occhiello dell’ingegneria italiana ma dall’arresto dell’ex ad Piergiorgio Baita e del doge del Consorzio Venezia Nuova Giovanni Mazzacurati ha aperto un baratro nella reputazione dell’impresa, negli affari e nei conti. A partire dai 28 milioni da ripianare che i tre commissari del Consorzio nominati dall’Autorità Anticorruzione di Raffaele Cantone un anno fa hanno presentato alle imprese, fino alla chiusura del rubinetto nello stanziamento dei fondi dal governo che dopo la scandalo ha frenato anche il treno in corsa delle pre-assegnazioni delle opere.
Si è chiusa pure l’epoca dei lavori per la costruzione delle barriere anti-inquinamento intorno alla zona industriale di Porto Marghera (costate 780 milioni, un milione dei quali solo di coll Ministero dell’Ambiente audi e ci sono 4,5 chilometri di cemento e palancole ancora da ultimare) perché ilha deciso di sottrarre l’esclusiva del disinquinamento della laguna al Consorzio; anche il sistema di filtraggio infinito delle acque del Progetto Integrato di Fusina è in grande difficoltà . Così lo scorso anno allo scadere dei lavori per il terminal portuale di Fusina, per 358 dipendenti del gruppo impiegati tra Venezia e Padova era scattata la cassa integrazione.
La misura scadrà a ottobre e ieri, nella sede amministrativa di Mantovani a Padova, l’amministratore delegato della società Maurizio Boschiero, l’Ance di Venezia con Luca De Lazzari e i rappresentanti sindacali di Filca Cisl Alberto Franzo, Feneal Uil Adriano Brinis, Fillea Cgil Francesco Andrisani e delle Rsu, hanno deciso di aprire una procedura che sarà gestita a RomaMoni.
«Per importanza dell’impresa e per l’entità dei numeri in campo, questa non può essere una mera trattativa interna all’azienda – spiega Andrisani – perciò abbiamo deciso di spostare la contrattazione al ministero del Lavoro con la proposta di cercare un percorso che possa permettere il ricorso ad ulteriori ammortizzatori sociali. Il nostro obiettivo è evitare che si attivino l’indennità di disoccupazione Naspi e i licenziamenti».
I rappresentanti dei lavoratori hanno perciò respinto il piano presentato dalla società che mette in esubero metà del personale in cassa integrazione e chiedono un impegno alle istituzioni e al governo sulla crisi di una società che merita anche un approfondimento politico finora eluso.
Solo a Roma si entrerà nel merito e nel dettaglio della trattativa. I contatti sono stati già avviati e la prima convocazione è attesa entro una decina di giorni.
di Monica Zicchiero, dal Corriere del Veneto
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.