Marlane-Marzotto, nuova indagine. La Procura teme un caso di ecomafie: sotterrati tonnellate di rifiuti tossici e radioattivi?
Giovedi 4 Ottobre 2018 alle 15:20 | 0 commenti
Nuova indagine per la Marlane (Gruppo Marzotto) di Praia a Mare (Cosenza) e nuovo sequestro per lo stabilimento calabrese che, dal 1973 al 2001, ha prodotto tessuti di vario genere, soprattutto sintetici, molto dei quali destinati ad uso militare. Sette gli avvisi di garanzia emanati stamane a carico dell'ex sindaco di Praia a Mare, Carlo Lomonaco, coinvolto in qualità di responsabile dello stabilimento dal 2002 al 2003; dell'ex amministratore delegato del gruppo Marzotto dal '97 al 2001, Silvano Storer.
Del responsabile dello stabilimento dal '96 al 2001, Vincenzo Benincasa; del responsabile del reparto tintoria dall'89 al 2003, Salvatore Cristallino; dell'amministratore delegato e vice presidente della Marzotto Spa dal 2001 al 2004, Ernesto Antonio Favrin; del responsabile dello stabilimento dal 2003 al 2004, Attilio Rausse e del responsabile del reparto finissaggio dall'86 al 2004, Ivo Comegna.
Tutti gli indagati sono accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e disastro ambientale.
Lo stabilimento Marlane è tristemente noto per le morti bianche dei propri operai: ben 30 uomini deceduti per le inalazioni dei fumi dell’impianto di finissaggio; a questi vanno aggiunti altri 12 dipendenti che hanno dovuto abbandonare il posto di lavoro a causa di malattia professionale.
Un caso che era già approdato nelle aule dei tribunali con dodici assoluzioni, tra cui l'imprenditore Pietro Mazzotto, in appello giunte proprio il 25 settembre scorso.
Sulla vicenda, però, vuole vederci chiaro la Procura di Paola, guidata dal magistrato Pierpaolo Bruni che ha avviato una nuova inchiesta con il supporto del sostituto, Teresa Valeria Grieco, e del Nucleo Operativo Ecologico (Noe) dei Carabinieri che stamani hanno sequestrato nuovamente lo stabilimento di Praia a Mare.Â
Anche perché nel corso del precedente procedimento con i vertici della Marzotto si sono susseguite le denunce da parte dei dipendenti deceduti, dei familiari e dei loro colleghi che hanno indicato con dovizia di particolari tutte le norme disattese in tema di salubrità del posto di lavoro: nell'ordinanza odierna si legge come non furono mai distribuiti i «dispositivi di protezione», come gli occhiali protettivi o le maschere e i guanti adatti alla mansione espletata.
Quella fabbrica, la Marlane, era un ambiente infernale per i lavoratori, in cui erano assente – scrivono gli inquirenti – gli «idonei sistemi di aspirazione per impedire o ridurre lo sviluppo e la diffusione di polveri». Regole elementari disattese tra l'indifferenza dei vertici aziendali che pur erano «perfettamente consapevoli dei rischi» come scrivono i magistrati.
A questi elementi si aggiungono dei nuovi, ottenuti dal blitz dai carabinieri del Noe, guidati dal maggiore Gerardo Lardieri, che hanno scoperto diverse anomalie nel sottosuolo interno ed esterno dello stabilimento, tra cui il depuratore delle acque reflue di Praia a Mare costruito a metà degli anni '90. Il dubbio dei militari dell'Arma è che in quelle «tubazioni plastiche» vi siano cumuli di rifiuti tossici e radioattivi. La Marlane non solo era «una condanna a morte» per i propri dipendenti, ma rischia di essere rivalutata anche come un'emegenza ambientale per l'intero territorio cosentino.
Il tutto con la compiacenza, più meno latente, della politica rispetto agli abusi della fabbrica che era – tra le altre cose – il più grande bacino elettorale del comprensorio.
Il fascicolo d'inchiesta sulla Marlane firmato da Bruni è il terzo: ancora una volta, tutti i morti dello stabilimento dei veleni, cercano giustizia.
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