L'inganno delle due sinistre: parla Langella
Martedi 28 Ottobre 2014 alle 23:38 | 0 commenti
Riceviamo da Giorgio Langella, segretario regionale del PdCI, una nota sottoscritta dalla Federazione provinciale di Vicenza, sul sabato delle divisioni "apparenti" che volentieri sottoponiamo all'attenzione dei nostri lettori.
Alcune considerazioni su quello che è successo sabato. I titoli dei giornali ci spiegano che sabato ci sono state, a Roma e a Firenze, due manifestazioni nelle quali erano presenti "due sinistre" politiche. Una sinistra di lotta nella manifestazione indetta dalla CGIL e una sinistra di governo con Renzi alla Leopolda. In genere si vuole far intendere che questa distinzione avviene all'interno di un unico partito, quello di maggioranza relativa.
Quel PD, cioè, che governa con Renzi assieme al centro-destra di Alfano, stringendo patti con Berlusconi e con il beneplacito dei capitalisti nostrani (ai quali non esita a dispensare favori) ma che mantiene al suo interno anche quei dissidenti apparentemente di "sinistra" che sabato erano in Piazza San Giovanni con la CGIL.
Ebbene, questa visione delle cose è ingannevole per alcuni buoni motivi. Il primo, il più eclatante, è che la riunione della Leopolda, nella forma e nei contenuti, è stato quanto meno di "sinistra" si possa immaginare. In effetti è stata l'apoteosi di una politica schierata dalla parte delle classi dominanti e più ricche. C'è stata una passerella mediatica di personaggi che nulla hanno a che fare con la sinistra, storica o nuova che si voglia. Ora, penso che bisognerebbe avere un minimo di decenza quando si decide di etichettare una politica collocandola in un'area ben precisa. Le dichiarazioni fatte alla Leopolda da Renzi stesso o dai suoi consiglieri (uno per tutti il finanziere Davide Serra) del tipo "il posto di lavoro fisso è morto", "lo sciopero provoca disoccupazione", "bisogna limitare il diritto di sciopero dei dipendenti pubblici" e così via, sembrano (e sono) pronunciate da esponenti e fautori di un liberismo sfrenato e senza regole. Anche le dispute imbarazzanti tra Debora Serracchiani (di stretta osservanza renziana) e Rosy Bindi (dissidente) o gli assiomi pronunciati tra un sorriso e l'altro da Alessandra Moretti (che sembra li legga da un manuale scritto da altri e che ripete pedissequamente così da farli risultare spesso estranei al contesto e al ragionamento) sono indice di una maniera di fare politica basata non tanto sui contenuti ma su un'apparenza che serve unicamente a catturare una effimera attenzione. Anche il continuo, incessante, ricorso a ricordare le percentuali ottenute da Renzi alle ultime elezioni europee si inquadra nell'umiliazione della politica ridotta a spettacolo. Un modo di "fare politica" che è tutto meno che qualcosa di attinente alla sinistra, anche la più moderata e integrata nel sistema.
Ma anche i dissidenti del PD, hanno ormai poco a che fare con una sinistra degna di questo nome. L'incoerenza che spesso dimostrano dicendo una cosa e attuandone un'altra (in effetti, alla fine, non hanno mai fatto mancare il loro voto di fiducia a Renzi anche quando fino a pochi minuti prima avevano evidenziato la loro decisa e ferma contrarietà ai decreti governativi) è anch'essa indice del degrado di una politica che privilegia la poltrona al progetto. Sono atteggiamenti, questi, che non portano a nulla se non a far apparire di sinistra anche chi non lo è da tanto tempo.
Allora sarebbe meglio scrivere e dire che a Roma e Firenze, sabato, si sono viste cose diverse che bisogna smascherare.
A Firenze si è vista la "nuova" classe dirigente italiana (che è sempre più simile a quella vecchia) composta da imprenditori sedicenti "illuminati", da finanzieri iperliberisti, da amministratori locali che sono diventati tali "fin da piccoli" e senza mai lavorare, da membri di consigli d'amministrazione di società pubbliche ivi nominati perché politicamente collocati dalla "parte giusta" ... Una folla che, al di là dell'uso di novità tecnologiche, è troppo simile a quella che popolava quei sistemi di sottogoverno di stampo prima democristiano, poi craxiano e quindi berlusconiano che hanno impedito al paese il progresso dovuto a un cambio di sistema e di modello di sviluppo.
A Roma c'è stata una grande manifestazione popolata da tantissimi giovani ai quali viene negato il diritto al lavoro, da lavoratori che lo stanno perdendo, da pensionati che non riescono a vivere con la pensione, da cittadini che vogliono cambiare realmente le cose e le priorità di governo. Sabato, a Roma, la sinistra che si oppone alle scelte liberiste del governo c'era. E non era rappresentata dai vari Fassina, Civati, Bindi o altri "dissidenti" del PD. Era composta da lavoratori, giovani, donne, sindacalisti, dirigenti e militanti di piccoli partiti che sfilavano con le loro bandiere rosse e i simboli storici (ma sempre attuali) del lavoro. Soggetti spesso divisi tra loro ma che, forse, stanno capendo che non è più possibile né produttivo continuare a esserlo. Forse si è compreso, finalmente, che non si possono più chiudere gli occhi e ritirarsi nelle proprie sedi di fronte alla devastazione sociale che il governo sta attuando. Anche se molti scrivono che è un "governo amico" dei lavoratori.
Finalmente lo sciopero generale non è più un tabù. Finalmente ci si sta convincendo che bisogna lottare per resistere e riconquistare i diritti che ci hanno rubato. E che bisogna farlo uniti, con chi ci sta. Con la FIOM e la CGIL, con i sindacati di base, con le forze politiche realmente di sinistra, con i comunisti, con i cittadini onesti.
Il tempo di credere agli annunci di un governo chiaramente e definitivamente schierato con i padroni è finito.
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