Linea diretta Vicenza-Gaza
Sabato 17 Gennaio 2009 alle 17:13 | 0 commenti
Mentre nella Striscia continua l’operazione Piombo Fuso, siamo andati a sentire palestinesi ed israeliani che vivono in cittÃ
Così lontana, così vicina. Il 3 gennaio scorso la città si è ritrovata, un po’ a sorpresa, ad osservare la pacifica invasione di qualche migliaio di manifestanti che chiedevano il cessate il fuoco a Gaza. Molti venivano dalle altre province del Veneto grazie al tam tam effettuato dai centri di preghiera islamici, ma è stato il segnale che anche dalle nostre parti c’è chi segue con grande attenzione quanto avviene ai confini tra Israele ed Egitto. In cima alla lista ci sono, ovviamente, gli israeliani e i palestinesi che hanno trovato casa e lavoro qui, ma che hanno ancora parenti, amici, relazioni in quell’area. Ne abbiamo sentiti alcuni, per capire come viene vista l’ennesima esplosione di violenza della tormentata vicenda mediorientale.
Dalla parte dei palestinesi - 1
Aweideh Majed gestisce, con due connazionali, un kebab in contrà Porta Padova. Palestinese con passaporto giordano, è in Italia da una quindicina d’ anni. La sua famiglia è in Giordania, ma ha parenti sia nella striscia di Gaza sia in Cisgiordania, ed è facile immaginare come in queste ore il pensiero corra continuamente a quanto avviene laggiù. “Viviamo un’angoscia insopportabile: ci sentiamo come se tutto il mondo andasse contro di noi. Non c’è nessuna giustizia in quello che sta succedendo a Gaza: quando vedi i morti, i feriti, le distruzioni, tutto questo non è giustificabile. Gaza è un territorio occupato, come possono difendersi i palestinesi? Con i fiori contro gli F16, i carri armati o gli elicotteri Apache? Con le risoluzioni Onu, che non sono mai state rispettate?"
In poche parole ha già detto tutto. Il senso di impotenza di buona parte dei palestinesi, la frustrazione, la sensazione di non avere niente a cui aggrapparsi, nemmeno uno speranza. “Noi abbiamo visto, in questi anni, tanti accordi di pace – continua -. Ma poi, cosa abbiamo ottenuto? Con i negoziati non siamo mai riusciti ad arrivare a niente: gli insediamenti israeliani continuano, non puoi più spostarti perché c’è il muro, ci sono posti di blocco ovunque. Per fare un pezzo di strada che richiede cinque minuti ci metti due ore, quando va bene. Ormai siamo esasperati, non ne possiamo più, non abbiamo più speranze". Â
“Ci vorrebbe una forza neutra, ma nessuno fa niente, nemmeno i paesi arabi – riprende -. Quello che dice l’Onu viene fatto rispettare in tutto il mondo, ma non in Palestina, dove le sue risoluzioni sono ignorate. I soldati internazionali si sono mossi per andare ovunque, basta guardare a cosa è successo in Libano, ma a Gaza non ci va nessuno. Come mai? Dov’è la giustizia in tutto questo? E come possiamo dire che questa è una guerra? Nella guerra combattono due eserciti: qui, dove sono gli eserciti? Vogliamo mettere i razzi di Hamas contro i carri armati?"
Ecco, Hamas. È uno dei punti critici della vicenda. Movimento terrorista per tutti i governi occidentali, movimento di resistenza legittimo per buona parte dei palestinesi. Come conferma anche Majed: “Hamas è prima di tutto un partito politico eletto dal popolo palestinese: questo non va giù né agli Stati Uniti né ad Israele, perché l’agenda di Hamas per il Medio Oriente è diversa dalla loro, e per questo hanno fatto di tutto per farne cadere il governo. Uno degli obiettivi di questa operazione è proprio buttare giù Hamas e sostituirlo con qualcuno di più manovrabile. In tutto questo c’è una parola segreta, ed è terrorismo: hanno legato Hamas al terrorismo, e con questo hanno fatto la magia. Adesso qualsiasi azione è possibile contro i terroristi di Hamas. Ma io mi chiedo: se uno difende la propria terra, è un terrorista? Io non sono di Hamas, sia chiaro. Non sto con nessuno dei partiti politici che ci sono oggi in Palestina. Però sto con tutti quelli che tentano di resistere all’occupazione, all’embargo, al tentativo di soffocare il popolo palestinese".
E come la mettiamo con gli attentati, i kamikaze, i missili, lo statuto di Hamas in cui non si riconosce lo stato di Israele? “Lo stato di Israele è una realtà . Ma il problema è che loro vogliono tutto: ci negano l’identità , vogliono che accettiamo tutto, anche le cose più umilianti. Non possiamo accettare la pace alle loro condizioni, e finché non si troverà un modo che ci permetta di vivere con dignità ci sarà conflitto. Non si può parlare di sicurezza quando poi siamo costretti a vivere con l’embargo, con il muro, con i check point: non puoi strangolarmi con una mano e con l’altra darmi solo qualche briciola. Io non ho mai vissuto lì, ma mi chiedo cosa può pensare chi è nato in quelle zone, chi ha passato tutta la vita sotto l’occupazione. Come faccio a farmi sentire, come faccio a far capire che solo vivere con la mia terra, la mia libertà , la mia dignità , la mia identità ?"
Dalla parte dei palestinesi - 2
“La famiglia di mia madre, i miei nonni, i miei zii, sono a Gaza, nel quartiere di Al Zeitun, che è uno dei più colpiti. Li abbiamo sentiti qualche volta dopo l’inizio dei bombardamenti aerei: ci raccontavano che era un massacro, che due terzi della case erano distrutte, che c’erano morti e feriti dappertutto, e che erano a corto di acqua, luce, viveri, di tutto. Poi, da quando è partita l’offensiva di terra, non siamo più riusciti a metterci in contatto.". Rida Al Quraini è in Italia da una decina d’anni. La sua famiglia è di Jaffa, un centro appena fuori Tel Aviv, ma dalla guerra del 48 vivono come rifugiati a Nablus. Era un ragazzo ai tempi della prima Intifada, è finito in carcere a 15 anni come simpatizzante di Al Fatah, e dal 2000 è in Italia con il sogno di imparare un lavoro e tornare presto a casa. Ma da allora la situazione è precipitata, e il suo progetto di rientrare in Palestina viene continuamente rinviato. Insieme a lui ci sono io fratello Dià e Rami Ayoub, anche lui di Nablus.
“Seguiamo ogni giorno quello che succede su Al Jazeera – raccontano -, e quello che ci colpisce è che noi, grazie al satellite, vediamo molto di più di quanto vedete voi alla televisione italiana. Voi non sapete quello che succede davvero laggiù: hanno bombardato le scuole, la Croce Rossa, hanno colpito i magazzini delle Nazioni Unite dove c’erano le scorte di viveri per la popolazione, e hanno colpito i depositi dove c’era il cherosene che serviva per dare energia agli ospedali. I morti sono quasi tutti civili, altro che terroristi. Tra di loro ci sono quasi quattrocento bambini: sono terroristi anche loro?".
Anche nelle loro parole, accanto allo sgomento per le notizie che arrivano dalla Striscia, c’è forte la sensazione di ingiustizia e impotenza. “Mi sembra di vivere in un mondo in cui tutto va alla rovescia", continua Rida. E spiega: “Ci sono due pesi e due misure: Hamas è stata eletta con delle elezioni che tutti hanno giudicato trasparenti, ma viene trattata come un’organizzazione terroristica contro cui si può fare di tutto. Dall’altra parte c’è Israele, che tutti considerano una grande democrazia: ma una democrazia può comportarsi così, può occupare in questo modo un altro popolo? Hamas, se usa le armi, è considerata terrorista: ma cosa fa Israele quando uccide i nostri civili? Chi è eletto da una parte è democratico e può fare quello che vuole, mentre chi è eletto democraticamente dall’altra è terrorista? Non capisco. E come è possibile che chi ha subito l’Olocausto possa far subire ad un altro popolo un altro Olocausto? Un vescovo italiano ha detto che Gaza è come un lager: è così. A Gaza è tutto chiuso. Se anche uno volesse dire: io con questa guerra non c’entro, voglio andarmene, voglio fuggire, non può farlo".
Lui, invece, dalla Palestina è riuscito ad andarsene. Ma vorrebbe tornarci, e non ha dimenticato cosa vuol dire crescere, e vivere in quelle condizioni. “Io sono nato sotto l’occupazione e sono sempre vissuto sotto l’occupazione – prosegue -. Mi sembrava normale, così come era normale, per uno della mia generazione, finire in carcere o essere ferito. Io sono stato in prigione a 15 anni, è ho capito che quello che mi hanno fatto non era normale solo quando sono arrivato qui in Italia e ho sentito parlare di diritti umani. Così, quando hanno cominciato a parlare della possibilità di uno stato palestinese, mi sembrava una cosa meravigliosa, un qualcosa che mi dava speranza. Ma sono anni che sento parlare di pace: parole, parole, parole, mentre i morti e i massacri li vediamo ogni mese con i nostri occhi. Adesso sono convinto che gli israeliani ci vogliano tenere zitti e sotto i piedi".
Questo senso di oppressione è quello che rende tutto più difficile da accettare. “La mia famiglia è di Jaffa – riprende Rida -: mia nonna ha ancora le chiavi della nostra vecchia casa, e per me Jaffa sarà sempre la nostra terra, non riuscirò mai a pensarla come territorio di Israele. Ormai, però, Israele è una realtà e lo accetto. Mi va bene vivere a Nablus, ma vogliamo un paese stabile, dove sia possibile vivere una vita normale, e questo non c’è. A Nablus, con l’Autorità palestinese, erano stati fatti dei parchi, dei giardini, erano state abbellite le strade. Gli israeliani hanno distrutto tutto: ma cosa c’entrano i giardini pubblici con la sicurezza di Israele? Sembra che vogliano toglierci qualsiasi possibilità di vivere una vita bella, normale. Io sono arrivato all’idea che ci vogliono tutti zitti e muti, e ci stanno riuscendo: ormai la gente palestinese vuole solo essere lasciata vivere, e basta. Si accontenta di andare al lavoro e tornare a casa, solo quello. Non gliene importa più niente di Gerusalemme, delle frontiere, del ritorno dei profughi, di quelle che sarebbero le condizioni minime per uno stato palestinese. Ormai si punta solo a sopravvivere".
Una situazione di esasperazione che finisce inevitabilmente col rinfocolare tensioni e violenze.
“Pensiamo alla famosa tregua di Gaza – concludo i tre palestinesi -: ma con l’embargo, senza acqua, né cibo, né benzina, né niente, che tregua è? È come se mi chiedessi se voglio morire in fretta, sotto le bombe, o lentamente, di fame? Hanno creato una situazione per cui anche se non sei terrorista lo diventi. Se Hamas era nel torto dieci anni fa, adesso c’è un’esasperazione tale che tutti gli danno ragione. Se noi dobbiamo condannare le azioni terroristiche di Hamas, perché nessuno condanna le stragi che fa Israele? Se uno usa le cinture esplosive, perché non ha altro, è un terrorista, se invece se uno ti bombarda con gli F16 va tutto bene? E’ questo che non ci spieghiamo".
Con gli occhi di Israele
Se di palestinesi a Vicenza ce ne sono pochi, gli israeliani sono forse ancora meno. “Siamo pochissimi: probabilmente ce ne sono di più dentro la caserma Ederle che in città " scherza Marco Jarach, uno degli esponenti della comunità ebraica vicentina, che fa capo a quella più grande di Verona. Doppio passaporto (“Quando sono qui mi sento italiano, quando torno in Israele mi sento israeliano"), parenti e amici quasi tutti in Israele sparpagliati tra Gerusalemme e Tel Aviv, Jarach sta seguendo con comprensibile attenzione la situazione di Gaza. Tramite quello che trova online in Internet, tra quotidiani internazionali e siti di informazione. E quello che gli raccontano i familiari che vivono da quelle parti. E il suo punto di vista è diametralmente opposto a quello dei palestinesi:
“Questa è una guerra difensiva – spiega -. Siamo stati tirati per i capelli dalle provocazioni di Hamas, che è una minoranza violenta e che fa gli interessi di una potenza straniera come l’Iran. Israele non vuole la guerra, avrebbe ben altro per la testa a cui pensare, ma dopo aver restituito Gaza ci sono piovuti addosso ottomila razzi. Cosa dovevamo fare?"
“Qui si confonde un’autodifesa con un’aggressione – continua -: questa è una guerra difensiva. Si cerca di condurla in modo moderno, selettivo, perché anche un morto tra i civili è di troppo, e per questo si lanciano volantini, si annunciano le zone in cui ci saranno bombardamenti, si avvisa la popolazione. Tutte le azioni militari sono preannunciate: se poi la gente e i bambini vengono lasciati lo stesso nelle zone in cui si sa che cadranno le bombe, bisognerebbe anche chiedersi perché lo si fa. Gaza, inoltre, ha più case di quanti ombrelloni ci sono a Riccione in estate, e certe conseguenze sono inevitabili. Da un punto di vista mediatico, noi la guerra l’abbiamo già persa, perché un paese aggredito è stato trasformato in aggressore: sono bravi a far vedere le immagini dei bambini feriti di Gaza, ma bisognerebbe far vedere anche quelle degli israeliani colpiti dai missili o dagli attentati".
Vero che le vittime ci sono da tutti e due i lati. Ma la disparità di forze in campo, e la squilibrio nelle vittime è sotto gli occhi di tutti. “Israele è la quarta potenza militare del mondo – continua Jarach - e di questo dovrebbero tener conto tutti. È vero che non si reagisce ad uno schiaffo con un missile. Ma dopo anni di spari contro le nostre città una risposta bisognava darla. Guardi, mia madre è di origini ungheresi, e quasi tutta la sua famiglia è morta nei campi di concentramento. Non è che noi ci divertiamo ad infliggere bombardamenti e sofferenze, abbiamo il culto della vita, ma non possiamo nemmeno stare lì a subire".
Che prospettive ci sono dunque? “Per far la pace bisogna essere in due – osserva Jarach -. E io credo che la pace ci sarà quando i palestinesi cominceranno a voler bene ai loro figli come gli israeliani: finché vediamo ragazzini in tutta mimetica addestrati a combattere e ad esaltare il martirio, sarà dura. Ma secondo me i primi a non volere questa situazione sono i cittadini di Gaza. A Gaza il 50 per cento della popolazione sta con Abu Mazen e vorrebbe vivere con gli standard di vita che ci sono in Israele: non è un caso che la maggioranza degli stati arabi se ne stia in silenzio. Il problema è che c’è una minoranza facinorosa e violenta, pagata da una potenza straniera, che terrorizza la maggioranza pacifista e tranquilla della popolazione". Il riferimento è, ovviamente, ad Hamas. Che però è andata al governo con elezioni democratiche. “Sì, è vero. Ma noi sappiamo bene quanto una minoranza aggressiva possa mettere in soggezione una maggioranza. Lo sappiamo perché lo sperimentiamo qui in Italia con la criminalità organizzata nelle regioni del Sud".
Di fronte a tutto questo, la comunità ebraica italiana cerca di chiarire la posizione di Israele. “Che è di difesa, non di aggressione – ribadisce ancora una volta Jarach -. Israele ha già rinunciato a Gaza. Questa è solo la risposta ad un’aggressione, senza nessuna motivazione ideologica né territoriale. E in ogni caso sarà una guerra senza vincitori né vinti". E di far fronte comune quando escono proposte come quella del boicottaggio dei negozi ebrei che ha fatto molto discutere qualche giorno fa. “Dopo c’è solo la notte dei lunghi coltelli – commenta Jarach -. C’è da preoccuparsi quando si sentono posizioni estremiste, a destra come a sinistra, o quando si vedono delle bandiere bruciare, perché 60 anni non hanno insegnato niente e la discriminazione è sempre in agguato. Io sono rimasto sconcertato, ad esempio, dal Gazebo di Porta Castello, perché è pura propaganda. Mi rendo conto che c’è molta ignoranza su questa questione: tante persone con cui parlo non sanno nulla della storia del Medioriente, di come è nato lo stato di Israele, di qual è la storia del mondo arabo. E l’ignoranza può provocare gravi danni. Credo invece che la conoscenza reciproca sia la miglior risposta a questa situazione, perché non ci sono manicheismi, non ci sono i buoni tutti da una parte e i cattivi tutti dall’altra". Un’osservazione, quella sulla conoscenza reciproca, su cui è difficile non essere d’accordo.
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