Lettera aperta sulla crisi, Vicenza inclusa
Domenica 20 Dicembre 2009 alle 13:59 | 0 commenti
Giorgio Langella  Â
Riceviamo e pubblichiamo
Vicenza, 20 dicembre 2009.
In questi giorni, gli organi di informazione riportano cifre e dati sul risultato dello scudo fiscale e cioè sul rientro dei capitali illegalmente trasferiti all'estero.
Sono molte decine di miliardi di euro. Le dichiarazioni del governo sono entusiastiche. Leggiamo che Tremonti afferma come l'operazione scudo fiscale sia stata una "colossale manovra di potenziamento della nostra economia". Una cosa mai vista prima, un successo senza pari.
Lo scudo fiscale è stato prorogato con la benedizione dei vertici di confindustria. Sono tutti soddisfatti, ma noi non capiamo. I soldi sono tornati in Italia con la garanzia dell'anonimato per chi li aveva illegalmente trasferiti all'estero. In pratica, pagando una "tassa" del 5% in cinque anni, quei "signori" che, evidentemente, non avevano pagato le tasse sottraendo ingenti quantità di denaro alla collettività , hanno "pulito" il proprio denaro e (forse) la propria coscienza, restando senza volto e senza nome.
Non solo (e lo leggiamo dai giornali) chi riporta e riporterà in Italia i soldi (lo vogliamo ripetere) illegalmente trasferiti all'estero, beneficerà anche di una sanatoria per falso in bilancio e bancarotta.
Chi ha commesso un reato resterà , grazie a una legge del governo, per sempre sconosciuto e non potrà mai essere perseguito per il crimine commesso. Continuiamo a non capire. Così, chi ha portato illegalmente nei paradisi fiscali le proprie ricchezze (non si sa come ottenute), non solo non viene giustamente punito ma ottiene anche benefici. Quasi fosse un onesto servitore dello Stato, un "salvatore della Patria".
Non ci siamo. I cittadini onesti, quelli che lavorano, quelli che non hanno trasferito illegalmente i capitali nei paradisi fiscali, quelli che hanno pagato regolarmente le tasse (ben più alte di quel misero 5%), cosa possono pensare?
Una seconda questione. Leggiamo su vari giornali (e ascoltiamo dalla televisione), titoli e notizie che riportano ottimistiche dichiarazioni di confindustria e governo sulla crisi che stiamo vivendo. La ripresa è avviata, affermano con sicurezza. Al contempo, negli stessi organi di informazione, spesso negli stessi articoli, si riportano i dati ISTAT che ci dicono come la disoccupazione sia, oggi, la più alta dal 1992. Non capiamo.
Come si può asserire che la crisi sta finendo, anzi che ci aspetta un futuro migliore quando i lavoratori perdono il lavoro, quando la cassa integrazione continua a crescere, quando si fa ben poco per garantire a chi vive in Italia di poter lavorare. Ogni giorno arrivano notizie sulle lotte di lavoratori esasperati. Notizie che, troppo spesso, bisogna ricercare perché non dovutamente pubblicate negli organi di stampa né giustamente evidenziate dai vari telegiornali.
Prendiamo, ad esempio, i dati della nostra provincia. Da gennaio a novembre 2009, in provincia di Vicenza sono 2.972 i lavoratori coinvolti in aperture di crisi (188 ditte); 8.230 quelli coinvolti in procedure concluse di crisi aziendali (213 ditte). Ci sono state 9.479.104 ore di cassa integrazione ordinaria (corrispondenti a circa 5.191 posti di lavoro), 8.549.081 ore di cassa integrazione straordinaria (corrispondenti a circa 4.680 posti di lavoro). Le aziende con trattamenti di C.I.G.S. sono 105 (85 per crisi aziendale). Il dato dei lavoratori (previsione Veneto Lavoro) interessati alla cassa integrazione in deroga a settembre è pari a 16.880. La mobilità ha colpito 6.067 lavoratori (2.070 di imprese oltre i 15 dipendenti e 3.997 di piccole imprese).
Sono numeri impressionanti, in continua ascesa mese dopo mese. Il dato della C.I.G.S. (cassa integrazione straordinaria, in pratica l'anticamera del licenziamento) è emblematico: solo a novembre c'è stato un incremento di circa 3.000.000 di ore.
Allora, come si fa a dire che la ripresa è avviata? O, meglio, cosa significano per confindustria e governo le parole "ripresa" e "uscire dalla crisi"? Forse significano solo un aumento dei profitti (per loro stessi) anche a scapito dell'aumento della disoccupazione. Forse significano maggiori guadagni per pochi (sempre loro) anche a fronte di una crescente povertà diffusa (i dati della Caritas sono, a questo riguardo, emblematici).
Secondo noi si uscirà dalla crisi solo quando il lavoro tornerà ad essere un diritto e sarà garantito a tutti. Un lavoro sicuro, giustamente retribuito e a tempo indeterminato.
Si uscirà dalla crisi quando ci sarà una severa politica per la sicurezza nei posti di lavoro (dall'inizio dell'anno, i dati sono ancora provvisori, sono morti ben più di 1.000 lavoratori e oltre 25.000 sono rimasti invalidi).
Si uscirà dalla crisi quando non ci saranno più "scudi fiscali", ma saranno severamente colpiti i grandi evasori, quando la ricchezza prodotta sarà utilizzata per il benessere di tutti e non per il lusso di qualcuno, quando quegli imprenditori che delocalizzano lavoro e ricchezza dovranno riconsegnare alla collettività quanto hanno ricevuto da essa sotto forma di incentivi, investimenti pubblici agevolati e quant'altro.
In poche parole, si potrà pensare di uscire dalla crisi solo quando non sarà più concesso a "lorsignori" di continuare ad arricchirsi alle spalle di chi vorrebbe avere, lavorando onestamente e pagando le tasse, il diritto a costruirsi un futuro più sicuro e sereno.
Giorgio Langella
Federazione della Sinistra - coordinamento PdCI-PRC
provincia di Vicenza
PS: le ore di cassa integrazione a livello nazionale da gennaio a novembre 2009 sono 816.342.177 (si, più di ottocentosedicimilioni pari a quasi 450.000 posti di lavoro a tempo pieno).
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