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Francesco, salva tu i profughi: appello dei preti don Ciotti, Zanotelli, Rigoldi e Colmegna

Di Rassegna Stampa Lunedi 4 Maggio 2015 alle 22:01 | 0 commenti

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Il Vaticano apra un corridoio umanitario, concedendo i visti ai profughi nei paesi d'origine. Eliminerà i viaggi in mare e i trafficanti. E darà una scossa all'ipocrisia europea. L'appello di don Ciotti, Zanotelli, Rigoldi e Colmegna
di Fabrizio Gatti
Potremmo chiamarli i visti del papa: permessi rilasciati dalla Santa Sede per salvare migliaia di bambini, donne e uomini. Le stragi in mare, milleduecento profughi annegati in aprile tra la Libia e l'Italia, più di tremila nel 2014, almeno cinquantamila dal 2000, non hanno scalfito l'inconcludente immobilismo dei ventotto governi dell'Unione europea.

Ma stanno tormentando le giornate di quanti non si rassegnano alla globalizzazione dell'indifferenza, né alla trasformazione del Mare nostrum, il Mediterraneo, in Cimiterium nostrum. È per questo che attraverso "l'Espresso" quattro preti di prima linea lanciano un appello a papa Francesco. Se la ricca Europa non apre corridoi umanitari, sia la Santa Sede a farlo: con propri visti consegnati attraverso le nunziature apostoliche, gli uffici diplomatici che la rappresentano in Africa e in Medio Oriente, oltre che nel mondo. In questo modo, i profughi che lo richiedono eviterebbero di affidarsi ai trafficanti e potrebbero raggiungere la salvezza legalmente. Addirittura in aereo, mezzo di trasporto più sicuro e molto meno costoso di un posto su un camion del deserto e poi su un barcone: circa 500 euro contro 7.000. Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano con una lunga esperienza in Africa; don Luigi Ciotti, fondatore dell'associazione "Libera", don Gino Rigoldi, cappellano dell'istituto penale per minori "Beccaria", e don Virginio Colmegna, presidente della "Casa della carità" che in dieci anni a Milano ha dato un tetto a 2.500 rifugiati, sanno bene che i visti del papa non sono la soluzione. Ma di fronte alla catastrofe e al fallimento degli Stati nazionali, la Chiesa deve occuparsi dell'umanità. Come è accaduto durante la Seconda guerra mondiale, quando perfino la residenza extraterritoriale di Castel Gandolfo, appena fuori Roma, diede protezione a dodicimila esuli.
Oggi la guerra è appena al di là dei nostri confini. Un conflitto immenso, non sempre dichiarato, con un fronte esteso migliaia di chilometri dal deserto del Mali alle regioni del Pakistan. Ed è da lì che fuggono quanti poi muoiono o sopravvivono, i sommersi e i salvati del nostro tempo. La proposta di mobilitare le nunziature apostoliche per salvare vite e togliere clienti ai trafficanti nasce dalle osservazioni di un avvocato di Genova, Alessandra Ballerini, con due imprenditori di Lampedusa, Paola La Rosa e Carmelo Gatani, e un volontario, Leonardo Cavaliere, impegnato nella difesa dei minori stranieri non accompagnati. I quattro sacerdoti l'hanno fatta propria rivolgendo il loro appello a papa Francesco.

PROVOCAZIONE
«È una proposta concreta e, al tempo stesso, provocatoria», spiega don Virginio Colmegna: «che però fa intravvedere la drammaticità e l'urgenza della situazione. Non credo, infatti, che la concessione di visti ai profughi da parte della Santa Sede possa rappresentare una soluzione alla questione migranti, ma credo che possa contribuire a evidenziare l'ipocrisia delle politiche europee in materia, soprattutto per quel che riguarda il diritto d'asilo». Il punto è proprio questo: «Oggi l'Unione Europea concede la protezione internazionale a un profugo che fugge da un conflitto, ma non fa nulla affinché questo profugo riesca a raggiungere l'Ue», dice don Colmegna: «Il rischio è che, nonostante vertici e proclami, quest'impostazione non cambi affatto e le persone continuino a morire nel tentativo di raggiungere la Fortezza Europa. C'è bisogno di dare una scossa alla politica, ma anche alla cittadinanza: è ora che l'urgenza umanitaria si faccia decisione politica». Senza dimenticare, aggiunge il responsabile della "Casa della carità", che ai profughi «non va solo garantita una via d'accesso sicura e legale nei nostri Paesi, ma anche delle reali possibilità di inclusione nelle nostre comunità. I migranti vanno accolti in maniera capillare, in Italia come in Europa, con progetti ben pensati e ben verificati, portati avanti in nome della legalità e non del business. Perché è solo aumentando la qualità dell'accoglienza che si possono abbassare le paure della gente comune».
Anche don Luigi Ciotti* si unisce all'appello, purché i visti del papa non diventino un alibi per i governi nazionali. Non può essere solo la Chiesa a levare la propria voce: «La proposta è per molteplici ragioni condivisibile, oltre che realizzabile sotto il profilo giuridico», osserva il fondatore di "Libera": «E papa Francesco è stato finora la figura che nel modo più chiaro, forte e libero da interessi che non siano quelli della dignità umana, si è espresso sull'inaccettabile destino di questi fratelli, uomini e donne come noi» (l'intervento di don Luigi Ciotti a pagina 22).

LA VIA PER IL MONDO
Padre Alex Zanotelli spiega come le nunziature apostoliche potrebbero rilasciare i visti. E in che modo poi i profughi, una volta arrivati nei territori della Santa Sede come la residenza di Castel Gandolfo che Francesco non sta utilizzando, possano essere inviati verso altri Paesi: un processo che deve coinvolgere le ambasciate accreditate davanti al papa, almeno quelle degli Stati ritenuti sicuri. Il missionario comboniano parla seduto al tavolo della sua casa essenziale, pochi metri quadrati su tre livelli, nel rione Sanità a Napoli. «È importante partire dai dati», dice: «E quando li vediamo a livello cumulativo, diventano spaventosi. Ritengo infatti fondato lo studio che aveva fatto Giampaolo Visetti su "la Repubblica", secondo cui dal 2000 al 2008 nel Mediterraneo sarebbero morti quarantaduemila uomini e donne: vuole dire che oggi ci sono cinquantamila persone sepolte nel Cimiterium nostrum. Durante la Seconda guerra mondiale quanti canali umanitari abbiamo aperto per salvare i profughi? L'Europa deve cominciare a rendersi conto che questo è solo l'inizio. Pensiamo soltanto a quello che avverrà con il surriscaldamento globale. Dobbiamo avere oggi il coraggio di pensare ad altre strade. La prima cosa fondamentale è certamente salvare più persone a mare. Ma la domanda sarebbe un'altra: perché non si salvano direttamente partendo da dove sono?».
Cosa può fare allora la Santa Sede? «Il Vaticano è uno Stato», risponde padre Zanotelli: «E come Stato ha i suoi rappresentanti, i nunzi apostolici. Praticamente in tutte le nazioni c'è una rappresentanza diplomatica della Santa Sede. Cosa ci vuole per le persone che stanno fuggendo ad andare dal nunzio apostolico, nella nunziatura apostolica, e chiedere un visto? Un visto per che cosa? Un visto per entrare in Vaticano. Il Vaticano ha un doppio vantaggio: non ha firmato Dublino uno-due-tre, le convenzioni che prevedono che chi arriva sia obbligato a rimanere nella prima nazione europea in cui ha messo piede, una cosa assurda. Il secondo vantaggio è che ha invece firmato la convenzione di Ginevra sui rifugiati. Dal Vaticano i profughi potrebbero così andare verso altri Paesi, facendo richiesta alle ambasciate degli Stati presenti presso la Santa Sede. È importante sottolineare che dentro il Vaticano ci sono le rappresentanze di un po' di tutti gli Stati del mondo. Quindi potrebbe essere facile farsi accogliere e avere un altro visto. Questa è la miglior guerra che possiamo fare contro gli scafisti: cioè togliere loro il pane e nel frattempo cercare una soluzione».

UN RIFUGIO A CASTEL GANDOLFO
Il Vaticano però è lo Stato più piccolo al mondo, mentre la Santa Sede è il soggetto che ne esercita la sovranità. Dove metteranno i profughi in arrivo? «Non c'è solo Castel Gandolfo. Basta pensare a tutti gli spazi che abbiamo come Chiesa, spazi enormi. Invece di trasformarli in hotel e in bed&breakfast per fare i soldi, cavoli!», dice il missionario comboniano: «C'è bisogno in questo momento di dare una mano a tantissima gente. E il papa continua a dirlo. Tutti questi conventi dove ci sono due o tre persone al massimo, monaci anziani: ma apriteli dando vita anche a voi stessi che ci siete dentro e dando significato alla vostra vita. Dobbiamo davvero cominciare a creare una nuova coscienza di Chiesa che anche papa Francesco sta trovando difficoltà a far passare. La Chiesa deve convertirsi: camminare con la gente, dare una mano, servire. Io penso al papa con la sua sensibilità straordinaria, soprattutto quando a Lampedusa ha fatto quella sua domanda terribile: "Avete mai pianto quando avete visto un barcone affondare?"».
Per piangere, nelle cerimonie di circostanza i capi di governo a volte piangono. Poi, però, non vanno mai all'origine della questione. Anche se là dove gli estremisti islamici hanno preso il controllo, è francamente difficile trovare soluzioni. «In Africa il problema sottostante, al di là del fondamentalismo religioso, è la miseria», ricorda padre Zanotelli: «Prendiamo il Nord della Nigeria da dove è partito Boko Haram. La Nigeria dopo il Sud Africa è la potenza più grande che ci sia nel continente. Una capacità economica straordinaria. Ma a chi va questa ricchezza? A pochi. È stato il nostro colonialismo che ha creato in buona parte i disastri che oggi vediamo. Anche la Chiesa deve fare molto di più. Sto parlando delle Chiese locali con le loro conferenze episcopali. C'è bisogno davvero di una grossa conversione. Ma ricordiamoci che buona parte di questi Paesi che hanno necessità di aiuto sono musulmani. E purtroppo in chiave islamica, dobbiamo confessarlo noi cristiani, i musulmani ci vedono sempre più come se l'Occidente cristiano fosse in guerra contro l'Islam. Dobbiamo essere molto più chiari sulla pace».
Magari papa Francesco la chiamerà...«Magari, sarei ben felice. So che questa nostra proposta non è la soluzione definitiva.Ma potrebbe essere uno stimolo potente: per far sentire ai Paesi europei che devono cominciare ad aprire canali umanitari direttamente dai luoghi dove si trovano i profughi. Sono loro la carne di Cristo».

 

*Ma da sola la Chiesa non può farcela
Siamo davanti a un problema epocale. Per questo
la politica deve uscire dall'ambiguità di missioni come Triton

Di Luigi Ciotti
sarebbe certo bello che il Vaticano, attraverso le nunziature apostoliche e altre strutture, si adoperasse per l'accoglienza e il riconoscimento giuridico dei profughi delle tante guerre e carestie in atto, destinati in gran parte alle vessazioni e ai rischi mortali della migrazione forzata. Tanto più che la Santa Sede non aderisce agli accordi di Dublino ma ha firmato la Convenzione di Ginevra. La proposta è dunque per molteplici ragioni condivisibile, oltre che realizzabile sotto il profilo giuridico.
Ciò non toglie che, di fronte all'enorme tragedia dell'immigrazione, non può essere solo la Chiesa a levare la propria voce. Papa Francesco è stato finora la figura che nel modo più chiaro, forte
e libero da interessi che non siano quelli della dignità umana, si è espresso sull'inaccettabile destino di questi fratelli, «uomini e donne come noi, in cerca della felicità». Ma sarebbe sbagliato, oltre che comodo, sovraccaricare la Sua figura di ogni nostra aspettativa. Il problema dell'immigrazione è, come giustamente si dice, epocale, a patto di riconoscere in questa parola gli enormi disastri provocati da un modello politico-economico che ha distrutto l'idea di uguale dignità e scavato un solco profondissimo fra la ricchezza e la povertà.

Un modello non va solo corretto nei suoi meccanismi economici, ma ripensato nei suoi presupposti culturali, pena il diventare complici delle sofferenze che produce. Quelle morti nel deserto e in mare sono l'effetto di un generale naufragio delle coscienze, della volontà diffusa di non vedere, di voltarci dall'altra parte, di guardare a queste tragedie con fatalismo, rassegnazione, se non con indifferenza e cinismo, come dimostrano l'ostilità e il riaffiorante razzismo. Così come è effetto del vuoto della politica, di misure esitanti o pilatesche, lo sfruttamento mafioso delle speranze, il turpe traffico che garantisce alle organizzazioni criminali ingenti profitti.
In questo scenario, al di là dell'impegno di Francesco e della Chiesa, è la politica che deve dimostrare più coraggio, più determinazione, ma anche lungimiranza e sintonia umana col dramma in atto. Aumentare i fondi dell'operazione "Triton" – unica misura concreta scaturita dal vertice europeo della scorsa settimana – è un modo un po' ambiguo di mostrare buona volontà senza andare a fondo del problema, che non può essere ridotto al pattugliamento delle coste e dei mari. Di fronte a drammi come quelli dei naufragi delle speranze e della dignità, non si può usare un linguaggio a metà fra il lessico economico e quello militare. Le persone non sono né cifre, né problemi. Volteremo pagina solo quando prenderemo coscienza che la nostra speranza ha proprio il volto dei profughi e degli immigrati a cui non abbiamo ancora saputo dare un'accoglienza degna di questo nome.


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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