«Il grande imbroglio» delle popolari: traditi i risparmiatori. Ma l'autore Stefano Righi ha fiducia in quanto fatto finora da Iorio e Carrus
Domenica 7 Febbraio 2016 alle 01:57 | 1 commenti
Cosa unisce la crisi di Popolare Vicenza e Veneto Banca ai quattro fallimenti pilotati di Etruria, Ferrara, Marche e Chieti? «L'aver tradito la fiducia dei soci». Casi diversi, per dimensione e stato di salute, è vero. Ma in fondo non dissimili, nel loro nocciolo profondo. La risposta secca è di Stefano Righi, giornalista del Corriere della Sera, esperto di economia e finanza, ben noto in Veneto oltre che per le sue origini padovane anche per la passione con cui ha seguito la parabola delle due popolari non quotate venete, dai trionfi al crollo. E la fiducia tradita è l'elemento che spiega il perché i casi di Vicenza e Montebelluna trovino ampio spazio nelle pagine de «Il grande imbroglio», il libro che Righi ha da poco mandato in libreria per i tipi dell'editore Guerini e associati.
In 160 pagine che si bevono d'un fiato il libro ricostruisce, in parallelo, le vicende che nel breve volgere di un anno hanno portato al tracollo le quattro banche del centro Italia e sull'orlo del baratro le due venete. Vicende diverse ed uguali. Diverse, e bene ha fatto l'Ad di Veneto Banca, Cristiano Carrus, a specificarlo, scrive Righi, per le diversità di ruolo, capacità e prospettive. «Per dimensioni e storia sono storie differenti - aggiunge ora il giornalista -. Per anni Vicenza e Veneto Banca sono cresciute, hanno creato valore e distribuito dividendi. Per 15 anni Gianni Zonin e Vincenzo Consoli hanno fatto ricco il Veneto». E il crollo, allora? «Zonin e Consoli non si sono accorti che il mondo era cambiato,che le regole del gioco erano diventate altre - è la replica -. Correre non bastava più: si doveva cambiare, dare una struttura alla banca, un governo vero con cda che non fossero lì solo per dire sì. Un bravo banchiere sa reagire alla crisi. Qui invece si sono perpetuati meccanismi fuori mercato. In cui il mandato alla guida era vissuto come a vita e dove si finisce per pensare che la ricchezza di tutti sia più tua che degli altri». E la crisi economica invocata per spiegare il crollo dei due istituti? «La qualità di un banchiere è valutare il merito di credito. Se dà soldi a tutti fa male il suo lavoro e avvicina la sua fine», è la replica. Ed è anche lì probabilmente che inizia a farsi largo il tradimento della fiducia di soci e risparmiatori: «È la cosa più grave, si è toccata l'essenza stessa dell'economia. Li abbiamo visti tutti i pensionati piangere in assemblea. Il rapporto con il territorio è diventata una grande ipocrisia: se conosci chi viene allo sportello ti fai carico dei suoi limiti, non te ne approfitti per far credere cose non esistono. Qui sta la radice del grande imbroglio. Ed è comprensibile ora la reazione dei risparmiatori che non ne vogliono più sapere e portano via i risparmi». Una crisi di fiducia irreversibile? «Io sono fiducioso per quanto ho visto fare dagli Ad Carrus e Iorio in questi mesi - replica Righi -. Banche decotte? No, hanno vissuto il momento peggiore e hanno scelto la trasparenza e il mercato». Con un amaro insegnamento, oltre al fallimento del sistema dei controlli, che esce da questa dura vicenda: che i risparmiatori non possono essere più i clienti ignari che si fidano e basta: «L'epoca in cui si entrava in banca - conclude Righi - convinti di fare il gioco del risparmio e si compravano invece pericolose azioni illiquide deve finire qui».
Da Il Corriere del Veneto
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