La novità di Luigi Di Maio su lavoro e sindacati: non è lui la novità
Domenica 1 Ottobre 2017 alle 18:13 | 0 commenti
E così Luigi Di Maio, classe 1986, candidato presidente del consiglio dei ministri per il Movimento 5 Stelle, di professione "giovane rampante", parla al "Festival del Lavoro" di Torino organizzato dalla "Fondazione Studi e dall'Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro" e attacca i sindacati. Li attacca perché non fanno il loro dovere? Perché sono troppo morbidi? Poco conflittuali? No. Non sia mai. Afferma, il Di Maio, che "tra i tanti problemi che abbiamo, se questo paese vuol essere uno stato competitivo, un paese che nel mondo del lavoro investe di nuovo e non fa scappare i giovani all'estero, deve prevedere anche un cambiamento radicale delle organizzazioni sindacali" e minaccia che "con noi al governo o i sindacati si autoriformano o li indurremo a una riforma".
Non c'è che dire. La summa del pressapochismo e dei luoghi comuni (il paese è in crisi di competitività non per le azioni scellerate della classe dirigente confindustriale e governativa ma per colpa dei sindacati) con, in aggiunta, la "promessa" autoritaria e anticostituzionale (riforma dei sindacati con imposizione del governo) in perfetto stile fascista.
Il resto che si capisce dall'intervento di Luigi Di Maio è di una pochezza disarmante. Proposte che si limitano a slogan senza contenuti. È facile dire che ci vorrebbero maggiori investimenti o che si deve dare modo alle imprese e agli studi professionali di assumere per far riprendere l'economia e dare gettito allo stato. Parole prive di qualsiasi sostanza.
Ma lo sa, il Di Maio, che i giovani, per poter lavorare, sono abitualmente costretti ad aprire la partita Iva e accettare condizioni di lavoro e di retribuzione a dir poco ignobili? Lo sa che lavorano per poche centinaia di euro onnicomprensive al mese? Ma la colpa è dei sindacati (che forse ne hanno altre e sono quelle di essere troppo remissivi nei confronti della controparte) o di chi, come Di Maio, ignora (o fa finta di ignorare) la realtà vera della condizione giovanile e non solo? I giovani non scappano all'estero perché ci sono i sindacati, ma perché le imprese e gli studi professionali non danno loro alcuna prospettiva se non quella di essere precari malpagati a vita.
Ma già , Di Maio, è un giovane "garantito" che ha trovato un posto sicuro (una poltrona) e ben retribuito. Come l'altro "giovane della provvidenza", Matteo Renzi, è arrogante e pressapochista. Va avanti a slogan, si adegua alla platea, dice quello che vuole il pubblico del momento. Cura soprattutto l'apparenza propria e di quello che afferma. È un affabulatore (che, però, è abituato a sbagliare i congiuntivi) autoritario e poco (o per nulla) autorevole.
Sostanzialmente è un uomo di spettacolo che cerca l'applauso. In un'Italia che avrebbe bisogno di Statisti è soltanto un politicante uguale ai tanti che occupano le istituzioni. Integrati e compatibili con il sistema.
Di Maio, di fatto, non è diverso da quelli che dice di combattere.
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