La lettera. Quell'Iran così poco vicino e così poco democratico
Martedi 7 Luglio 2009 alle 08:00 | 0 commenti
Nel numero 155 di sabato 27 giugno 2009 il vostro giornale VicenzaPiù ha pubblicato un articolo di Alessio Mannino dal titolo "Ahmadinejad e l'Iran visto da vicino" il cui leitmotiv è: smettiamola, con questo falso allarmismo. In Iran non c'è repressione. E' una democrazia, solo diversa dalla nostra.
Ho letto e riletto l'articolo più volte per evitare di incappare in mal interpretazioni e storture mosse dalla fretta, ma ad ogni ripetizione quel senso di perplessità iniziale non solo è rimasto ma si é trasformato in grande fastidio. E sconcerto.
Che la linea editoriale di un giornale non debba assolutamente essere una gabbia all'opinione di chi ci scrive é sacrosanto, ma la coerenza di fondo deve rimanere, quel filo rosso che accompagna il lettore passo dopo passo, articolo dopo articolo e che lo spinge a farsi sostenitore del giornale che ha scelto, deve restare robusto, e ben definito.
La prima questione di fondo è la contraddizione insita nel titolo: L'Iran visto da vicino. Già qui mi fermerei. Perché forse Alessio Mannino ha confuso il mestiere del giornalista con quello, tanto ambito nei talkshow pomeridiani, dell'opinionista. Il giornalista scende in campo, si muove nel campo, sente, tocca, intervista, scrive, si sporca le mani, suda. E principalmente riporta ciò che vede. Con oggettività . Non "il sentito dire".
Non mi risulta che basarsi su un'intervista fatta tre anni fa a Morteza Nirou, iraniano trapiantato in Italia da più di vent'anni (cito testualmente) possa garantire l'oggettività e la consapevolezza dichiarata per giungere alle conclusioni a cui si spinge Mannino. Questo non é vedere da vicino, questo é limitarsi a restare seduto alla propria poltrona comoda a guardare il film che ci viene raccontato per poi pontificare sull'esistenza. Si potrebbe anche arrivare a conclusioni reali, ma per caso. E questo non sarebbe affatto giornalismo.
Scrive Mannino, riportando le parole di Morteza Ninou e dandole per verità assoluta :"Ma allora ci raccontava come stanno realmente le cose nel suo Paese d'origine: in Iran ci sono elezioni, ci sono anche più giornali che in Italia, si può criticare la classe politica, ma tutto con un limite: non si può contestare l'Islam, base di tutto". Evidentemente Mannino deve avere un'idea tutta sua di "limite", ma non è questo il punto, chiedo piuttosto al giornalista: perché questo aspetto non è stato approfondito? Cosa significa che non si può contestare l'Islam? Forse scrivere a chiare lettere cosa in realtà significava avrebbe smontato la tesi di fondo di questa bella democrazia libera e solo un po' particolare? Perché potrebbe voler dire che tutto sommato non è tanto carino far considerazioni da bar sull'Islam, che qualcuno potrebbe anche innervosirsi e sbattere il pugno sul tavolo. O magari invece potrebbe voler dire che a dichiarare apertamente la propria distanza dalla religione di Stato si rischia la pelle, magari con una pallottola in gola. Può voler dire tutto. Ma Mannino di questo non dice nulla.
Ci tiene però a rimarcare, sempre attraverso le parole di Morteza Ninou che poi "questa storia del velo è una fissazione, le donne iraniane hanno sì tanti problemi, ma non quello del velo. Esiste un movimento di emancipazione femminile molto avanzato, ma non certo per l'hjiab". E anche qui, di nuovo, si socchiude una porta e la si lascia aperta, ad intendimento libero. E vabbé, crediamoci: il velo è una fissazione degli occidentali. Però Ninou dice anche che le donne iraniane hanno tanti problemi. E allora perché non parlarne, perché non approfondire la questione? Forse ancora una volta la tesi di fondo ne subirebbe uno scacco?
E' però una frase che più di tutte risulta intollerabile - non solo per la linea editoriale di VicenzaPiù. Risulta intollerabile a priori. La riporto pari pari, senza neppure commentarla:
"I sostenitori di Mousavi subiscono l'influsso (e forse qualcosa di più) delle potenze occidentali: scendono in strada, incendiano auto e cassonetti, spaccano vetrine, creano posti di blocco e affrontano la polizia che li carica e si fa scappare qualche morto, come a Genova nel 2001".
Come Neda. E le immagini parlano chiaro. Mi piacerebbe sentirlo, il nostro giornalista, che si avvicina ai genitori della ragazza e dice: "Che volete, questi scendono in strada a incendiare cassonetti, è chiaro che qualche morto ci scappa".
Quest'affermazione è grave. E mi permetto di dire disgustosa.
Ma del resto, come ci suggerisce lo stesso Mannino, se "Quello che dice Ahmadinejad non va preso alla lettera, è propaganda, esattamente come quella che si sente spesso da Bush sui nemici dell'America", forse non dovremmo prendere alla lettera nemmeno lui.
Mariasole Ariot
Rispondo per ordine alla lettrice Ariot, fra me e la quale, lo dico subito, credo non ci sia nulla in comune, neppure sulle questioni fondamentali (democrazia, modello di vita, eccetera).
E infatti comincio col negare alla radice che un giornale debba osservare una linea editoriale come un "filo rosso" omogeneo a tutti coloro che vi scrivono. Intendiamoci: una linea dev'esserci e la dà il direttore. Se un giornalista non è d'accordo, se ne va. Ma la forza di un giornale libero, quale VicenzaPiù cerca di essere, consiste nel fatto che al suo interno si possa trovare, il più spesso possibile, almeno una opinione che sostenga anche l'opposto, o comunque una tesi diversa. Questo, per fortuna, sulle nostre pagine avviene, e invece di stizzire i lettori dovrebbe rallegrarli.
Ma in realtà è il contenuto del mio articolo ad aver scandalizzato la nostra lettrice. Che mi accusa di scrivere col culo al caldo, a tavolino. A parte il fatto che non si capisce perché i grandi opinionisti con l'elmetto filo-Usa possano dire la loro semplicemente ripetendo a pappagallo la verità delle agenzie internazionali mentre il sottoscritto no, ho citato l'iraniano-vicentino Nirou perché lui l'Iran lo conosce avendo ancora la famiglia là , che va a trovare di tanto in tanto. E non essendo tacciabile di simpatie per il regime islamista in quanto comunista, mi pare una fonte più che credibile.
Semmai, mi scusi, è Lei, signora Ariot, che si limita a "guardare il film che ci viene raccontato". Abilmente sceneggiato dai media mainstream che, come bravi occidentali citrulli - e prezzolati dagli interessi economici e geopolitici delle nostre "democrazie" - dividono la realtà in buoni e cattivi. E i cattivi, ovviamente, sono gli iraniani che sostengono Kamenei e Ahamadinejad. Mi spiace non aver avuto pagine e pagine per poter approfondire il sistema istituzionale di Teheran, ma a me pareva già abbastanza chiaro: laggiù puoi pensarla come vuoi, eccezion fatta che sul Corano, legge fondamentale. La religione islamica (sciita) fa da cornice intoccabile, all'interno della quale è ammessa la varietà d'idee. Non è libertà assoluta, dirà lei. Ribatto: perché, da noi c'è libertà assoluta? Devo ricordare che in Italia e negli altri paesi del "libero" Occidente se non ti riconosci in uno dei partiti accomunati dal pensiero unico "lavora, consuma, crepa" sei out, emarginato, un paria?
Ma non è questo il punto. Quello vero è che ogni popolo ha il diritto di darsi il sistema politico che vuole, di farsi da sé la propria storia, di risolvere i propri problemi interni come più gli aggrada. Qui abbiamo un concetto di democrazia, là ne hanno un'altra. Punto e a capo. Così come là si sono dati certi costumi, certe usanze, anche certi modi di vestire. Se alla nostra lettrice dà fastidio che alle donne iraniane non importi un accidente della fissa tutta occidentale per il velo, è un rovello suo, se permette. Si rilegga il già dimenticato Levi-Strauss e il differenzialismo fra culture, e capirà che il più grande rispetto per ciò che è altro da noi sta nel non applicare i nostri canoni e i nostri metri di misura a coloro che non li condividono.
I manifestanti di Teheran chiedono appunto di avvicinare il loro paese al nostro modo di vivere. Lo fanno ricorrendo alla violenza di piazza. Ora, personalmente non trovo nulla di male in questo. La violenza, checché ne dicano certe finte verginelle nostrane, è sempre stata la leva che ha accompagnato i grandi rivolgimenti storici, che ci piaccia o meno. Ma se non giustificabile, è comprensibile che chi viene attaccato si difenda. La signora Ariot crede che in una guerriglia urbana ci si scambino fiori e carezze? I media a cui lei si abbevera ci raccontano che là si sta svolgendo una "rivoluzione". Domando: una rivoluzione si fa senza che lo Stato che si vuole rivoluzionare risponda? Cosa dovrebbero fare, le autorità dell'Iran, fare harakiri disconoscendo i propri ideali (la democrazia islamica), ossia rinunciando al proprio modo di essere, alla coerenza, alla dignità ?
Cara signora, dica chiaro e tondo che per lei la Repubblica degli ayatollah è un governo ingiusto da abbattere, punto e fine. Opinione legittima. Esattamente come la mia, che al contrario penso che uomini come gli ayatollah, a differenza di certi nostri premier, siano ancora uomini, che vanno in fondo nel difendere la propria visione del mondo. Che, sia chiaro, è loro, non mia (non sono musulmano né persiano). Ma che, in quanto diversa dalla mia, non mi azzarderei mai a voler cambiare (a patto che la cosa sia reciproca, si capisce). E' questo buon relativismo culturale che non riesce a entrare nelle teste di noi arroganti occidentali, doppiamente arroganti perché convinti di essere sempre nel giusto.
Alessio Mannino
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