La condanna di Matteo Marzotto: tra cariche mantenute in BPVi, Fiera di Vicenza e Cuoa, stampa locale, dio profitto e morti Marlane
Venerdi 19 Febbraio 2016 alle 22:47 | 0 commenti
La condanna in primo grado a dieci mesi di reclusione di Massimo Caputi e di Diamante e Matteo Marzotto (membro del Cda della BPVi, presidente di Fiera di Vicenza e Cuoa di Altavilla, due società in gran parte di capitale pubblico, ndr) per evasione fiscale in quanto, in concorso con altro 8 membri delle famiglie Marzotto e Donà Delle Rose che, però, hanno nel frattempo patteggiato e versato 57 milioni di euro, non avevano pagato allo Stato italiano il dovuto per la cessione della Valentino al fondo britannico Permira (71 milioni di euro per una plusvalenza calcolata in 218 milioni) rivela un aspetto di cosa è il capitalismo, soprattutto quello nostrano.
La sete di fare comunque profitti in qualsiasi modo (in questo caso sfruttando il fatto che la vendita è "transitata" per il Lussemburgo dove avevano pagato 520 mila euro di tasse) è la stessa per la quale non si presta la dovuta attenzione a garantire la sicurezza nelle fabbriche. Leggendo della condanna del rampollo della famiglia valdagnese, viene alla mente che il nome Marzotto è legato a quanto successo alla Marlane di Praia a Mare. Oltre cento vittime di cancro tra i lavoratori, accuse di inquinamento e disastro ambientale, un processo durato svariati anni, nessuna condanna con la motivazione che non si può provare la colpevolezza individuale dopo tanti anni dai fatti. Ma i morti restano e restano anche le dichiarazioni rese durante il dibattimento da Gaetano Marzotto ("noi ci occupavamo solo dei nostri soldi") che evidenziano come per "lorpadroni" il profitto, il fare soldi e tanti interessa più di ogni altra cosa. Lo fanno in ogni maniera, sfruttando le pieghe della legge, i cavilli burocratici, spostando finanza e lavoro in paesi dove è più facile "risparmiare". Il resto, la mancanza di sicurezza e il non pagare le tasse, sono "danni collaterali", pesantissimi solo per chi li subisce.
Già oggi, della condanna di Matteo Marzotto e degli altri due, non se ne parla più. Il 18 febbraio, invece, si potevano leggere alcune notizie e qualche articolo. Spiccava, tra tutti, quello del Giornale di Vicenza il cui titolo "La vendita di Valentino costa 10 mesi ai Marzotto" faceva intendere che fosse la cessione la causa della condanna. Chiaramente non è così ed è bene ribadirlo. Matteo Marzotto, la sorella Diamante e l'imprenditore Caputi sono stati condannati per evasione fiscale e non perché, nel maggio del 2007, sia stato venduto il marchio Valentino Fashion Group alla britannica Permira per 700 milioni di euro. Sia ben chiaro, vendere una azienda o un marchio è possibile ma non pagare le tasse è reato. Un reato odioso e gravissimo perché sottrae ricchezza a tutta la collettività . E sia altrettanto chiaro che i giudici hanno condannato (per altro a una pena molto mite, 10 mesi con la condizionale e la non menzione) gli imputati perché li hanno considerati colpevoli oltre ogni ragionevole dubbio.
Adesso Matteo Marzotto, che nel 2014 dichiarò un reddito (riferito al 2013) di "ben" 60.018 euro, avrà il buongusto di dimettersi dai vari incarichi che ricopre? Continuerà a fare il presidente della Fiera di Vicenza? E il presidente della fondazione del CUOA? E con il Consiglio di Amministrazione della Banca Popolare di Vicenza (incarico che ricopre perché cooptato nel dicembre 2014 e che gli ha fruttato solo per quel mese di "lavoro" 10.056 euro) come la metterà ? Non si sa, ma è facile prevedere che resterà al proprio posto. Del resto, la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio o alla prescrizione soprattutto a chi appartiene alla casta di "lorsignori" non viene mai negata.
Intanto, Matteo Marzotto si sente in dovere di dichiarare "sono stato condannato per una cessione alla quale mi ero opposto con tutte le mie forze" e anche che "è certo, però, che in questo contesto diventa difficile conciliare il fare impresa e investimenti" (cfr. articolo del Giornale di Vicenza del 18 febbraio 2016, pag. 21 - Cronaca). Affermazioni quantomeno bizzarre in quanto la condanna (è bene ripeterlo anche fino alla noia) è per evasione fiscale e non per la cessione di un marchio alla quale ci si è "opposti" e perché si può (e si dovrebbe) "fare impresa e investimenti" non solo incassando, comunque, gli utili della vendita ma anche pagando le tasse dovute. Tutte. Gli onesti lo fanno, ma per chi è abituato ad essere riverito in quanto ricco e potente questo è, evidentemente, un fastidio al quale ci si può e ci si deve sottrarre.
Un'ultima cosa. Nel bilancio di Marzotto group relativo al 2014 (pag. 23) si può leggere che gli "oneri per contenzioso Praia" ... "a fronte di costi sostenuti nell'anno ed altri oneri e spese legali che si prevedono di sostenere nei prossimi esercizi" sono pari a 4,6 milioni di euro. Questi "oneri" comprendono "tutte le pretese patrimoniali delle persone fisiche costituite nel processo penale e di quelle che avevano agito in sede civile" che sono state definite in via transattiva (sono i soldi che sono stati offerti e dati ai parenti delle vittime della Marlane costituitisi parte civile per "uscire" dal processo). Una cifra di molto inferiore a quella calcolata per l'evasione fiscale (oltre 70 milioni di euro) contestata a vari membri delle famiglie Marzotto e Donà delle Rose e per la quale Matteo è stato condannato. Forse è bene conoscere queste cifre, così, tanto per farsi un'idea di quale sia, per "lorsignori", il valore del denaro e delle vite altrui. L'ennesima dimostrazione che viviamo in un sistema spaventoso.
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