Ingroia ieri a Vicenza
Mercoledi 20 Febbraio 2013 alle 22:41 | 0 commenti
Giorgio Langella, Rivoluzione Civile Antonio Ingroia - Ieri Ingroia (oggi minacciato di morte, ndr) è stato a Vicenza. Una sala gremita, tanti cittadini in piedi hanno ascoltato un discorso finalmente chiaro. Non si è parlato di giaguari da smacchiare, né si è mandato a quel paese tutti indistintamente. Non si sono gridati slogan né invettive. Ingroia ha esposto con serietà un progetto di cambiamento del sistema che ormai da oltre vent'anni opprime il nostro paese. Lo ha fatto a partire dall'analisi della situazione e dall'interpretazione della realtà per arrivare a soluzioni concrete e, cosa molto importante, a proporre come poterle realizzare.
Ingroia ha detto senza bizantinismi quali e quante sono le risorse necessarie per iniziare a cambiare lo stato di cose presente soffermandosi su quelli che sono i punti cardine del programma di Rivoluzione Civile: legalità , lavoro, diritti, pace. I valori e i principi fondamentali della nostra Costituzione. Una Costituzione troppo spesso umiliata da quella casta indistinguibile di politici, affaristi, finanzieri, imprenditori senza scrupoli che "dirige" il paese da troppo tempo. Far tornare la legalità nei posti di lavoro, investire nell'istruzione pubblica, finanziare la sanità pubblica, dare le necessarie risorse economiche alla ricerca sono punti ormai imprescindibili se si vuole far uscire il paese da quelle sabbie mobili nelle quali decenni di pessima a-politica succube della finanza e dell'economia ci hanno costretto. Le risorse ci sono e vanno trovate là dove esistono. Si deve azzerare l'acquisto di armi (dai cacciabombardieri F35 ai sommergibili) e ritirare le nostre truppe dai territori di conflitto a partire dall'Afghanistan. Si potrebbero, così, risparmiare decine di miliardi e si applicherebbe l'articolo 11 della Costituzione. E poi si devono tassare le grandi ricchezze (il 10% della popolazione possiede il 46% della ricchezza totale del paese) con una patrimoniale strutturale, ordinaria e progressiva, colpire l'evasione (stimata in 120 miliardi di euro ogni anno), la corruzione (60 miliardi di euro), l'economia criminale e mafiosa (che ha un "giro di affari" stimato tra i 150 e i 200 miliardi di euro). Sono quasi 400 miliardi ogni anno, un quinto del debito pubblico. Una cifra enorme. L'Italia non è, quindi, un paese povero. Esistono immense ricchezze nelle mani di pochi. Ricchezze che aumentano di anno in anno. Il problema è che la ricchezza non viene investita nei beni comuni, nel lavoro, nello stato sociale, ma viene sottratta ai cittadini onesti, ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani, alle famiglie che si impoveriscono. È un fiume di denaro che si deve recuperare e può essere gestito pubblicamente con serietà e trasparenza. Sono risorse che permetterebbe di garantire lo sviluppo del lavoro diminuendo al 2% il tasso di interesse bancario per i crediti alle imprese virtuose, quelle che non delocalizzano, che assumono e assicurano sicurezza a chi lavora.
Agire, ridistribuendo lavoro e ricchezza. Agire, ripristinando il ruolo del pubblico nello sviluppo industriale ed economico del paese (come è previsto negli articoli 41 e 42 della Costituzione). Agire, non a partire dall'estetica di vuote promesse o di un populismo parolaio e pericoloso, ma dalla concretezza di un progetto che permetta di abbattere il modello di sviluppo liberista, ormai esausto e fallimentare.
Cambiare la società dalle radici, si può e si deve. È una vera e propria rivoluzione, civile (ma che può diventare anche maleducata se così deve essere), che ha le sue radici nella storia di due politici integerrimi del recente passato. Politici "scomodi" che Ingroia ha voluto ricordare: Pio La Torre ed Enrico Berlinguer. Due grandissime persone che hanno lottato tutta la vita contro la mafia e l'illegalità , per il lavoro e i diritti di tutti. Due statisti che avevano capito come la questione morale fosse la principale causa del degrado del nostro paese e come la trasformazione dei partiti in comitati d'affari che avrebbero occupato le istituzioni, sarebbe stato un pericolo mortale per la democrazia.
Oggi abbiamo la forza voto per poter continuare a percorrere la strada che loro ci hanno indicato. Votare per Rivoluzione civile non è una testimonianza, è il voto necessario per evitare che il nostro paese sprofondi in un disastro irreversibile.
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