Inchiesta Veneto Banca, Flavio Trinca chiede l'archiviazione: estraneo
Venerdi 3 Marzo 2017 alle 08:30 | 0 commenti
Il presidente e tutti i consiglieri di amministrazione? Sono estranei. Le decisioni operative venivano prese altrove (cioè, se ne deduce, dall’Ad Vicenzo Consoli). Per questo, i magistrati fanno bene a non indagare nessuno del cda e quindi dovrebbero archiviare, e subito, la posizione del presidente. A voler sintetizzare le tesi sostenute ieri di fronte ai pm di Roma da Flavio Trinca, ex presidente di Veneto Banca, basterebbero questi concetti. Anche se poi, ovviamente, ci sono molte sottigliezze e precisazioni da porre, che in ogni caso puntano a orientare l’attività dei magistrati più verso chi, quel ruolo operativo, ce l’aveva: Vicenzo Consoli, l’amministratore delegato dell’istituto di credito che ha polverizzato i risparmi di 88 mila azionisti, e ora è nel mirino di un’ indagine per aggiotaggio e ostacolo all’attività di vigilanza assieme ad altre 14 persone, tra le quali lo stesso Trinca.
L’ex presidente di Veneto Banca, aveva chiesto di essere interrogato dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura, avvenuta a fine dicembre. Peraltro, la giornata di interrogatori giunge in un momento caldissimo per l’istituto di credito, che è impegnato in un rush per far firmare a più azionisti possibili l’offerta di transazione sulle azioni. L’obiettivo è quello di raggiungere l’80% delle adesioni; la maggioranza dei vecchi soci sta decidendo in queste ore sul da farsi, mentre le associazioni convocano assemblee a ripetizione. Per l’interrogatorio a Roma, Trinca si è presentato assistito dall’avvocato Fabio Pinelli. L’ex presidente si è affidato a una memoria scritta per spiegare come gestiva il suo ruolo nella catena di comando della banca. «Trinca ha respinto gli addebiti che gli vengono contestati – spiega il legale - e nel rispondere si è reso disponibile per qualsiasi chiarimento ulteriore gli venisse in futuro richiesto». Ne è seguita una lunga dissertazione sugli uffici della banca, su chi proponeva le scelte strategiche, in particolare relativamente all’erogazione del credito e alla collocazione delle azioni dell’istituto, senza dimenticare i rapporti con le autorità di vigilanza. «Trinca – incalza Pinelli – ha spiegato che il Cda era privo di deleghe operative. Ha poi chiaramente rappresentato e documentato come il presidente ricoprisse un ruolo assolutamente paritario con quello degli altri consiglieri, in una prospettiva di responsabilità collegiale». Di qui, il sillogismo: se non indagate gli altri consiglieri, perché dovete indagare il presidente? E se Trinca, al telefono, si trincera dietro un «io non ho visto nulla, ora sono fuori», prima di riagganciare, il suo legale ne descrive così lo stato emotivo: «Alla luce del contributo dichiarativo e informativo offerto ai magistrati, attende fiducioso le prossime determinazioni dell’autorità giudiziaria». L’atteso interrogatorio di Trinca arriva dopo che, a fine dicembre, la procura di Roma aveva chiuso le indagini: il relativo avviso era stato notificato all’ex Ad Consoli e ad altri 14 indagati. Tra i reati contestati, sulla base delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, figurano l’ostacolo all’attività di vigilanza e l’aggiotaggio. Al centro dell’inchiesta, ci sono i finanziamenti erogati dall’istituto a soggetti che non avevano i requisiti per ottenerli ed altri finanziamenti concessi in cambio dell’acquisto di azioni della banca (le cosiddette operazioni «baciate»). Nel mirino dei pm, in particolare, c’è Consoli: il manager era il «dominus» di un’articolata serie di operazioni e di finanziamenti che avevano come obiettivo quello di gonfiare il patrimonio dell’istituto e il valore delle azioni, il tutto ostacolando le attività di vigilanza svolte da Bankitalia e Consob. Consoli, nell’embrione della sua linea difensiva, ha già fatto sapere che vorrà smontare questo teorema, dimostrando che era un sistema che coinvolgeva tutti, a partire da chi doveva vigilare sulla ban ca.
Di Mauro Pigozzo e Roberta Polese, da Corriere del Veneto
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