Al momento non è chiaro se quel documento potrà mai essere fatto valere legalmente come una vera e propria garanzia. È facile prevedere, però, che la banca dovrà difendersi in tribunale dalle pretese di un gran numero di azionisti, a cominciare da quelli che a suo tempo sono stati convinti a comprare anche grazie alla promessa di agevolazioni per una eventuale futura vendita dei loro titoli. A questi potrebbero aggiungersi i soci che da mesi non riescono a disfarsi del loro pacchetto di azioni e che lamenteranno di essere stati discriminati.
Va ricordato, infatti, che l'istituto presieduto da Zonin non è quotato in Borsa ma i titoli vengono trattati in una sorta di mercato informale gestito dalla banca stessa. Ormai da un paio d'anni, però, gli scambi sono fermi al palo per mancanza di compratori. E così, negli ultimi mesi, si è creato un gigantesco ingorgo in uscita. Anche perché, tra il 2013 e il 2014, la banca è riuscita ad arruolare altri 40 mila soci, per un totale di 116 mila, raccogliendo sul mercato 1,3 miliardi di euro.
Quotidiano | Rassegna stampa |
Inchiesta de l'Espresso su Banca Popolare di Vicenza: "Promesse col buco"
Sabato 19 Settembre 2015 alle 14:08 | 0 commenti
Decine di soci hanno acquistato azioni della Popolare Vicenza con la garanzia della banca di ricomprarle. Lo ha scoperto l'ispezione della Bce, tra prestiti irregolari e conflitti d'interessi. Che Bankitalia non aveva visto
Alla Popolare di Vicenza tutti i soci sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Negli anni scorsi l'istituto di credito presieduto da Gianni Zonin ha infatti pensato bene di regalare un salvagente a chi accettava di sottoscrivere un pacchetto importante di titoli. «La banca si impegna ad agevolare la liquidazione delle azioni nei limiti della capienza del fondo di riacquisto». Recita più o meno così il testo della scrittura privata che oggi può essere esibita da decine di soci della Popolare di Vicenza.
RISPARMIATORI TRADITI
La Consob sta indagando ormai da più di un anno sulle modalità con cui gli investitori sono stati convinti a comprare. Si sospettano favoritismi vari, prestiti e garanzie irregolari. Al momento non si conoscono i risultati dell'indagine. Intanto però il sistema è saltato una volta per tutte nell'aprile scorso, quando il valore dei titoli, fissato di anno in anno dal consiglio di amministrazione della Popolare, è stato ridotto da 62,5 a 48 euro. Il taglio ha gettato nel panico la folla dei soci. A cominciare da quanti, solo pochi mesi prima, avevano sottoscritto l'aumento di capitale al prezzo di 62,5 euro per azione, nella certezza che la quotazione, fissata sulla carta e non dal mercato, avrebbe continuato ad aumentare così come era sempre successo da decenni.
Il peggio, forse, deve ancora venire. Nei prossimi mesi, l'istituto veneto si quoterà in Borsa, una volta varata la trasformazione da cooperativa in società per azioni così come imposto dal decreto del governo Renzi sulle Popolari. E con lo sbarco sul mercato ufficiale sono in molti a temere un nuovo crollo della quotazione. Non è ancora finita. Per tappare le falle nei conti, la banca chiederà altri soldi ai soci: 1,5 miliardi con l'ennesimo aumento di capitale.
I BUFFETTI DI BANKITALIA
Certo è che la vicenda degli azionisti con il paracadute finisce per portare altra legna al falò che da mesi sta consumando la reputazione (oltre ai bilanci) di quella che un tempo si presentava come la banca più solida e rampante del ricco Nordest. Dopo il bilancio lacrime e sangue del 2014, con 785 milioni di perdite, la semestrale del 2015 è andata in rosso addirittura di un miliardo per effetto della pulizia contabile imposta dalla Banca centrale europea (Bce), che ha preso il posto di Bankitalia come authority di vigilanza. A fine agosto, il nuovo amministratore delegato Francesco Iorio ha siglato una relazione semestrale che suona come un atto d'accusa pesantissimo nei confronti della precedente gestione, quella targata Zonin, presidente in carica da ben 19 anni, affiancato dal direttore generale Samuele Sorato, uscito di scena a maggio, e da un cerchio magico di amministratori ancora tutti al loro posto nonostante la bufera di questi mesi.
Iorio, in carica da fine maggio, ha di fatto ammesso che in passato la banca ha finanziato l'acquisto di azioni proprie da parte dei soci per l'astronomica cifra di 950 milioni di euro. Questi prestiti, espressamente vietati dal codice civile, sono emersi a primavera grazie all'intervento degli ispettori inviati dalla Bce. Eppure anche la Vigilanza di Banca d'Italia aveva ripetutamente fatto visita a Vicenza negli anni scorsi. L'ultima volta risale a dicembre 2012, quando la verifica si chiuse con un verdetto "parzialmente sfavorevole", livello 4 in una scala di giudizi che va da 1, positivo, a 6, ovvero sfavorevole. Col senno di poi riesce difficile pensare che prima del 2013 la banca di Zonin non avesse prestato soldi per comprare azioni proprie.
Nel 2012, la relazione degli ispettori mandati da Roma si soffermava solo su alcuni aspetti della gestione considerati critici, tra cui anche la valutazione dei cespiti ricevuti a garanzia dei crediti. Nulla, però, che riguardasse i finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. La Vigilanza suggeriva anche «una costante revisione e monitoraggio (...) dei target prefissati con particolare attenzione alle rettifiche di valore su crediti». La banca veneta si adegua, ma giusto il minimo indispensabile: nel bilancio 2012 le svalutazioni su prestiti in sofferenza o incagliati arrivano a 180 milioni, contro i 140 milioni del 2011. Quanto basta per non sacrificare troppo i profitti in bilancio e consentire a Zonin di continuare nel suo mantra della «banca in salute» che aiuta l'economia reale.
I consigli elargiti da Bankitalia appaiono come innocui buffetti, se si confrontano con la cura da cavallo imposta dalla Bce. Nel 2013 le rettifiche salgono fino a 390 milioni. Poca cosa. La tempesta, quella vera, è in arrivo. Nel bilancio 2014 le rettifiche superano gli 860 milioni che si sommano ai 700 milioni dell'ultima semestrale. Il conto finale ammonta a oltre 1,5 miliardi di nuove svalutazioni decise dopo l'intervento della Vigilanza europea, che ha cominciato a occuparsi della Vicenza a marzo del 2014.
Nel 2012, la relazione degli ispettori mandati da Roma si soffermava solo su alcuni aspetti della gestione considerati critici, tra cui anche la valutazione dei cespiti ricevuti a garanzia dei crediti. Nulla, però, che riguardasse i finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie. La Vigilanza suggeriva anche «una costante revisione e monitoraggio (...) dei target prefissati con particolare attenzione alle rettifiche di valore su crediti». La banca veneta si adegua, ma giusto il minimo indispensabile: nel bilancio 2012 le svalutazioni su prestiti in sofferenza o incagliati arrivano a 180 milioni, contro i 140 milioni del 2011. Quanto basta per non sacrificare troppo i profitti in bilancio e consentire a Zonin di continuare nel suo mantra della «banca in salute» che aiuta l'economia reale.
I consigli elargiti da Bankitalia appaiono come innocui buffetti, se si confrontano con la cura da cavallo imposta dalla Bce. Nel 2013 le rettifiche salgono fino a 390 milioni. Poca cosa. La tempesta, quella vera, è in arrivo. Nel bilancio 2014 le rettifiche superano gli 860 milioni che si sommano ai 700 milioni dell'ultima semestrale. Il conto finale ammonta a oltre 1,5 miliardi di nuove svalutazioni decise dopo l'intervento della Vigilanza europea, che ha cominciato a occuparsi della Vicenza a marzo del 2014.
ZONIN SALVO, CONSOLI AFFONDATO
Le alterne vicende della banca di Zonin appaiono ancora più sorprendenti se si confrontano con quanto accaduto negli stessi anni a Montebelluna, a poche decine di chilometri di distanza dalla città del Palladio. Nella cittadina in provincia di Treviso ha sede Veneto Banca, l'altra grande Popolare del Nordest alle prese con problemi simili a quelli della concorrente vicentina. A gennaio del 2013, poche settimane dopo aver chiuso l'ispezione a Vicenza, i funzionari di Bankitalia arrivano a Montebelluna. La verifica si chiude solo ad agosto con esiti pesantissimi per l'istituto all'epoca guidato da Vincenzo Consoli.
La Vigilanza rileva tra l'altro che «l'ampliamento (dell'azionariato, ndr) è stato sostenuto anche attraverso la concessione di finanziamenti finalizzati all'acquisto di azioni proprie». Questi prestiti, si legge nelle carte ufficiali, ammontavano a 157 milioni. I vertici di Veneto Banca escono con le ossa rotte dalla verifica dell'Authority. Bankitalia chiede, fin dal novembre 2013, un «integrale ricambio degli organi societari», ricambio che è stato in effetti varato nella primavera successiva. Non solo. Sulla base del rapporto della vigilanza è partita anche un'inchiesta della magistratura sull'operato di Consoli e altri manager.
In poche parole, i siluri di Bankitalia hanno affondato l'istituto di Montebelluna, mentre Vicenza, passata al setaccio solo pochi mesi prima, se l'è cavata con un semplice rimbrotto. Eppure, come dimostreranno i successivi controlli della Bce, le due banche soffrivano di problemi molto simili: rettifiche su crediti insufficienti, prestiti per l'acquisto di azioni proprie, controlli interni poco incisivi.
Risultato finale: già nel 2013 Veneto Banca deve correre ai ripari mentre la Popolare Vicenza, rafforzata anche dall'investitura della Bankitalia, si propone sul mercato come "polo aggregante". In sostanza può andare a caccia di concorrenti da comprare. A primavera del 2014 viene addirittura lanciata un offerta pubblica sulla Popolare dell'Etruria. Non se ne fa niente. Intanto però la banca vicentina è riuscita a raccogliere sul mercato più di un miliardo di euro, grazie al sostegno, e ai soldi, di decine di migliaia di risparmiatori. Gli stessi che adesso protestano per il taglio del valore del titolo. «Va tutto bene», diceva Zonin. E anche Bankitalia.
In poche parole, i siluri di Bankitalia hanno affondato l'istituto di Montebelluna, mentre Vicenza, passata al setaccio solo pochi mesi prima, se l'è cavata con un semplice rimbrotto. Eppure, come dimostreranno i successivi controlli della Bce, le due banche soffrivano di problemi molto simili: rettifiche su crediti insufficienti, prestiti per l'acquisto di azioni proprie, controlli interni poco incisivi.
Risultato finale: già nel 2013 Veneto Banca deve correre ai ripari mentre la Popolare Vicenza, rafforzata anche dall'investitura della Bankitalia, si propone sul mercato come "polo aggregante". In sostanza può andare a caccia di concorrenti da comprare. A primavera del 2014 viene addirittura lanciata un offerta pubblica sulla Popolare dell'Etruria. Non se ne fa niente. Intanto però la banca vicentina è riuscita a raccogliere sul mercato più di un miliardo di euro, grazie al sostegno, e ai soldi, di decine di migliaia di risparmiatori. Gli stessi che adesso protestano per il taglio del valore del titolo. «Va tutto bene», diceva Zonin. E anche Bankitalia.
di Vittorio Malagutti da l'Espresso
Commenti
Ancora nessun commento.
Aggiungi commento
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.