Il rilancio mancato della BPVi: il triste epilogo del prospetto di mille pagine di Francesco Iorio ricco di... altrettanti misteri
Lunedi 13 Marzo 2017 alle 18:30 | 0 commenti
La fine della storia è nota: la fallita quotazione in Borsa, corredata da un Prospetto di rilancio tanto ambizioso quanto ambiguo come scrive oggi su L'Economia del CorSera Mario Gerevini, che prospetta l'ipotesi che l'illusione del salvataggio della BPVi indotta anche dal prospetto informativo da mille pagine che accompagnò il passo fallito della quotazione in Borsa possa finire sotto le lenti della Procura, anche se già oggi questa appare intasata dal lavoro. "Comprate le azioni della Banca Popolare di Vicenza che va in Borsa" dicevano in tanti, vertici della banca, Francesco iorio in primis, incoraggiati da un futuro che veniva descritto come roseo e ricco di aspettative, soprattutto monetarie, ma totalemente tradite.
Il principio di tutta questa tormentata storia, infatti, è la presentazione a settembre 2015 del piano di rilancio industriale per il periodo 2015-2020 da parte dall'amministatore delegato Francesco Iorio, scelto, anche, da Gianni Zonin che a quell'epoca era ancora presidente, se con poteri di fatto ridotti oppur no non si sa ma, comunque, attorniato da un Cda in gran parte sua espressione
La "nuova" Popolare di Vicenza avrebbe dovuto produrre utili fin dall'esercizio 2016 (200 milioni di euro di "surplus" già il primo anno) secondo il "libro dei sogni" di Iorio, come lo definisce ora nei momenti "buoni" Alessandro Penati, che in quelli peggiori lo qualifica un "film dell'orrore", visto che anche su quella base (ma altre fonti non ne aveva il professore?) ha promesso utili del 6% a chi, da Unicredit e Intesa fino alla "pubblica" Cassa Depositi e Prestiti, avesse investito nel Fondo Atlante che poi in BPVi ha già messo più di 2 miliardi col rischio di trovarsi in mano solo un cerino... spento.
Il momento clou delle illusioni, però, lo si vive nel marzo dello scorso anno, quando viene deliberata la trasforazione della banca in Spa, come previsto dai tre controversi decreti voluti dal governo dell'allora premier Matteo Renzi, sull'onda della "risoluzione" (fallimento) delle quattro banche popolari del Centro Italia (Banca Popolare dell'Etruria, CariFerrara, CariChieti e Banca delle Marche).
Quella che si apprestava a rivedere la luce, però, era una banca che per nulla aveva tagliato i ponti con il passato, con un CdA composto in larga parte da esponenti legati al vecchio presidente Gianni Zonin.
La conclusione di questa lunga trama è una resa su tutta la linea. Assenza di adesioni tra gli investitori per l'aumento di capitale che, sulla base di un prospetto da mille pagine (tipo "Guerra e Pace") avrebbe portato l'Istituto in Borsa, il Fondo Atlante costretto a entrare e a sborsare il miliardo e mezzo necessario a completare l'operazione e l'addio di Francesco Iorio, la cui uscita di scena ha reso evidente che non il libro ma il rilancio era un sogno...
Il primo semestre 2016, beffa delle beffe, si è concluso con 800 milioni di perdita, con buona pace delle rosee previsioni di utili.
Con il rischio che, in assenza di un indispensabile ma ancora controverso salvataggio dello stato, scatti il bail-in e in presenza di scenari sempre più tetri all'orizzonte, oggi il vecchio mantra è cambiato in "meno male che la BPVi non è entrata in Borsa".
La grande illusione si è dissolta come una bolla di sapone o, se si preferisce, come i risparmi dei correntisti della Popolarebrucaiti ex post anche dal mnega stipendi dell'illusionista Francesco Iorio.
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