Il razzismo e il costo del lavoro manuale
Martedi 7 Agosto 2018 alle 18:34 | 1 commenti
Eravamo tutti figli di contadini, curiosi e vocianti nello stanzone più grande del seminario estivo. In una delle “madrasse†d’Occidente s’era sparsa la voce della visita di un prete di colore. Fino ad allora l’Africa e la sua gente la conoscevamo solo dalle faccette scure sul giornalino del circolo missionario, ma un nero, uno vero, non l’avevamo mai visto. Il padre spirituale lo presentò, e lui, con poco italiano, ci disse due parole di circostanza. Quando si trattò di familiarizzare, c’era una palizzata di compagni che mi impediva la vista. D’un tratto mi ritrovai in prima linea, proprio di fronte a quella figurina sorridente, seduta e accerchiata da inquieti ragazzini della prima media.Â
Fategli delle domande, disse il rettore, ma eravamo del tutto incapaci. Uno disse che si meravigliava nel vederlo vestito, insomma con la giacca e i pantaloni del clergyman; un altro gli domandò se aveva fame. Io, gli misi una mano sulla testa ansioso di toccare quei capelli piccolissimi e ricci, e altri mi seguirono. Ma a questo punto quello si scansò; insomma, non gli piacque.
Nel nostro mondo remoto, eravamo lontani dal clamore, da ogni novità , e di certo non eravamo razzisti. Ma poi, noi e l’Italia delle campagne, siamo passati alla modernità e ai suoi agi, ai suoi obblighi e alle sue presunzioni. Quando la lotta di classe è divenuta adulta, abbiamo smesso d’essere anche “brava gente†e ci siamo accorti che il nostro mondo è pieno di invasori. La repulsione per uno straniero, e magari di colore, è la stessa che avremmo avuto per un povero che, sporco, mal vestito e con poche risorse, mette istintivamente in pericolo quel poco che possediamo.
La scuola di massa e le ambizioni della post modernità hanno ridotto il nostro ventaglio di collocazione al lavoro; l’immissione forzata di manodopera straniera ha ridimensionato i diritti e i salari. La crisi economica e sociale ha acuito i rigori della competizione, e dunque il reale pericolo rappresentato dallo straniero povero per il nostro lavoro e la nostra ricchezza. Le culture e le religioni dei migranti rappresentano ormai un’esplicita aggressione alle tradizioni, e la nostalgia del passato nazionale si annuncia col suo carico di violenza. Siamo ancora lontani dagli eccessi di Aigues-Mortes o di New Orleans (dove gli italiani furono trucidati dalle popolazioni stanziali) ma il disagio sociale è crescente.
La sacralità rappresentata dal singolo straniero come ἄγγελος (messagero), tradizione eugenetica di ogni popolo antico, sparisce di fronte al numero imposto dalle logiche economiche. La politica e la dittatura mediatica al servizio di queste dinamiche non trovano di meglio che accusare la gente impoverita con smisurati giudizi morali, buoni per colpire il nemico politico e sostenere il proprio consenso. Tuttavia gli agevolatori della migrazione (che temono che la decrescita dell’economia nazionale metta in pericolo i loro stipendi e le loro pensioni) pretendono che il peso dell’accoglienza e della competizione economica e sociale gravi per intero sulla metà della popolazione italiana sfrattata dalle garanzie e dalle opportunità . Pretendono che questa metà , dopo aver perso la propria lotta di classe contro i garantiti del sistema, mettano a repentaglio le residue sicurezze economiche e le dividano con i nuovi venuti.
Non sono di certo le uova in faccia a rappresentare il pericolo - queste possono semmai rappresentare una scarsa tensione morale e una cieca oppressione mediatica –, ma sono pericolosi i quartieri della commistione, le periferie della convivenza, la linea di inciviltà che marca l’osmosi tra la costante emarginazione degli italiani e la difficile integrazione degli stranieri. Perché la Boldrini, i Gentiloni, i Martina, i Tajani… il Papa, non se li portano a casa loro? Perché il “buonismo†dei garantiti e dei dominanti non offre i propri diritti e prebende per l’accoglienza dei mali del mondo? Dopo aver illuso i propri concittadini col giusto stato sociale o con il capitalismo di massa, ora illudono questi “altri†con le loro promesse di cittadinanza. La verità è che quest’ultima non ha per tutti lo stesso valore.
Il trucco imposto dal sistema ha creato una società di creditori e di debitori, mostra un mondo diviso in bianchi e neri invece che in ricchi e poveri. Nell’afa di quest’estate lo scontro politico si limita a stupide accuse di sovranismo e globalismo, di fascismo e costituzionalismo, ma entrambi i combattenti tacciono la vera natura della battaglia. Poiché la posta in gioco sono solo il rapporto Capitale/Reddito, sono le condizioni del lavoro e il potere della finanza, sono le politiche sociali, le garanzie del popolo padrone sul popolo servo.
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