Il Dal Molin e l'inversione di rotta
Sabato 18 Luglio 2009 alle 12:01 | 0 commenti
Dell'appello lanciato dal nostro redattore Alessio Mannino e dal giornalista e blogger freelance Marco Milioni condivido molti punti. Soprattutto ne condivido l'impostazione di fondo: la costruzione della nuova base è figlia di un sistema economico e sociale basato su consumismo esasperato e su produzione spinta all'eccesso e sostenuta (anche) a forza di bombe. E il no al Dal Molin è quindi un no di principio, non monetizzabile e non compensabile (anche se chi amministra ha il dovere di cercare di trarre il massimo per la comunità anche nelle situazioni peggiori).
Se però l'appello firmato da Alifuoco, Giulianati e Figoli volava troppo basso - il bosco urbano, la base per la protezione civile, l'eliporto, gli scambi culturali -, quello lanciato da Mannino e Milioni pecca forse dal lato opposto. Fa un'analisi complessiva del sistema che porta al raddoppio della Ederle, ma lascia Vicenza sullo sfondo, senza mettere sul piatto proposte concrete. Comprensibile, visto che l'intento era quello di ribadire la contrarietà di principio alla nuova base Americana, una contrarietà che esclude in partenza l'idea stessa delle "compensazioni".
Ma se il caso Dal Molin vuole diventare la base per un ripensamento del nostro modello di vita, è necessario cominciare a ragionare anche su scelte che tocchino da vicino la città . Io ne suggerisco tre, senza pretesa che siano le migliori, le più importanti o le uniche.
- Il territorio. Il caso Dal Molin è l'ennesimo esempio di abuso del territorio. Lo abbiamo scritto e documentato più volte: nel Vicentino, come in tutto il Veneto, si è costruito molto, anzi troppo, e molto spesso in modo dissennato. Ci sono più case di quelle che servono, più capannoni di quelli che vengono utilizzati, e nonostante questo si continuano a progettare nuovi insediamenti. È ora di dire basta, e di ragionare intorno a limiti seri e rigorosi al consumo di suolo e alle nuove edificazioni, in tutte le fasi della pianificazione, dalla Regione in giù.
- La mobilità . Insieme a quello del Dal Molin viene portato avanti il progetto della tangenziale nord. Sottointeso: per assorbire un volume di traffico che continuerà ad aumentare. Vero, ma il problema non dovrebbe essere quello di reggere un traffico sempre più caotico e convulso, quanto quello di cominciare a diminuire il numero di auto in circolazione. L'auto è una gran comodità , nessuno lo discute, ma se la si guarda da un punto di vista collettivo è un disastro, con costi ambientali, sociali ed economici enormi. Io credo che l'idea di una città senza auto, o in cui l'uso dell'auto sia davvero ridotto al minimo, non sia un'utopia, e che il risultato sarebbe una città in cui si vivrebbe meglio. E in cui, forse, si potrebbe fare a meno di opere costosissime e dall'impatto enorme.
- La partecipazione. La nostra democrazia è sempre più formale, e il Dal Molin ne è un caso esemplare. Un governo nazionale può imporsi sulle comunità locali, ma dovrebbe almeno avere la decenza di spiegare, motivare e illustrare nei minimi dettagli quello che ha intenzione di fare. Tutte cose che con la Ederle2 sono mancate completamente. Invece la partecipazione e la condivisione delle scelte, dovrebbe essere uno dei cardini della vita amministrativa, anche qui, a tutti i livelli.
Idee troppo generali? Forse sì. Ma sono solo un punto di partenza. E in ogni caso me la cavo citando un autore apprezzato anche da Mannino e Milioni. "I compromessi possibili sugli strumenti della transizione non devono far perdere di vista gli obiettivi sui quali non si può transigere - scrive Serge Latouche in uno dei suoi ultimi libri -. Si possono immaginare diversi scenari di transizione dolce. L'importante comunque rimane il cambiamento radicale di rotta". Possiamo discutere sul come, ma cominciamo ad invertire la rotta.
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