Il coming out nel rock
Domenica 24 Marzo 2013 alle 11:41 | 0 commenti
Da VicenzaPiù n. 251 e Bassano Più n. 13 in distribuzione e sfogliabili comodamente dagli abbonati online.
Di Bruno Dal Gallo per la nuova rubrica "Vita gay vicentina"
È in uscita a giorni "The next day", ultima fatica del quasi scomparso Duca Bianco, quel David Bowie che improvvisamente ha calato il sipario una decina d'anni fa facendo perdere le sue tracce e lasciando solo ricordi indelebili dietro a sé, memorie di canzoni senza tempo che per più di 40 anni ancora oggi ci accompagnano.
Questo nuovo lavoro sembra far rivivere quei ricordi evocando atmosfere di quando il Duca faceva della sua immagine un emblema di trasgressività e androginia, di ambiguità così forte da far vacillare l'intera scena rock di allora. Erano gli anni settanta, dove finalmente si iniziava a rimescolare i generi ed i ruoli nel nome della ribellione più pura. E fu proprio in quegli anni, dopo la rivolta gay-lesbo-trans di "Stonewall Inn" nel Greenwich Village di New York nel 1969 che anche nel panorama musicale prendevano forma figure carismatiche e ambigue, nei modi, nel look e nei testi delle loro canzoni. Personaggi come Lou Reed dei Velvet Underground, David Bowie appunto, Iggy Pop, Mick Jagger dei Rolling Stone, Elton John, Freddy Mercury ed altri ancora. Artisti che giocando con la loro immagine dicevano tutto e niente sulla loro sessualità , mai un "coming out" esplicito, ma solo una presunta omosessualità . Era probabilmente parte del music business che negli anni della liberazione, delle rivendicazioni ci si dichiarasse bisessuali, forse un'etichetta meno impegnativa per un artista che non volesse rischiare troppo e compromettere il proprio successo. Si narra di relazioni tra Bowie, Jagger, Iggy Pop ma appunto nessuna certezza, nessuna ammissione degli stessi. Poi, nel decennio successivo, invece, l'elemento gay nella musica diventa un ingrediente che non sconcerta più nessuno, supportato da un look sempre più eccentrico ed androgino di figure come Boy George dei Culture Club o Pete Burns dei Dead or Alive, che fanno da catalizzatori per miriadi di ragazzini bisognosi di idoli da emulare ed idolatrare, attraverso i quali dar sfogo alla propria identità sessuale. Negli anni ottanta molti erano gli artisti che solamente anni dopo dichiararono la loro omosessualità , tra questi alcuni nomi come Marc Almond dei Soft Cell, Jimmy Sommerville dei Bronki Beat, Andy Bell degli Erasure, George Michael degli Wham, Pet Shop Boys, Holly Johnson dei Frankie Goes To Hollywood, Billy More, Michael Stipe dei R.E.M., Tracy Chapman, K.d. Lang, Samantha Fox e molti altri ancora. In quegli anni, non c'era ancora una coscienza gay ben formata, un orgoglio manifesto, c'erano più che altro tentativi di esprimere personalità al di fuori di schemi e atteggiamenti conformisti, erano comunque modelli sicuramente già più evoluti che nelle decade precedente. Artisti questi, che pur non avendo fatto apertamente coming out nell'apice della loro fama, lasciavano trasparire attraverso i loro testi, ogni dettaglio della loro personalità e del loro orientamento. Un emblema ne è "Smalltown Boy" dei Bronki Beat, ancora oggi considerato come un inno gay per eccellenza. Canzone che parla appunto di un ragazzo di campagna che lascia la famiglia, incompreso e solo scappa dall'omofobia e dal dolore causato da chi lo reputa diverso. Da allora attraverso gli anni novanta giungendo fino ai giorni nostri, qui e là abbiamo assistito a vari coming out, ma esempi di identità forti e consapevoli della propria omosessualità nella musica non ne abbiamo ancora abbastanza. Nel lontano 1965, John Lennon scrisse "You've got to hide your love away" (devi nascondere il tuo amore lontano), sono passati molti anni da allora ed è tempo ormai che questo amore esca allo scoperto una volta per tutte.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.