I «sassi» di Matera e quelli veneti: cambiati gli attori, dai politici di ieri ai «produttori» di oggi, il prodotto non cambia
Sabato 10 Settembre 2016 alle 11:58 | 0 commenti
I «sassi» di matera (e i nostri)
di Gigi Copiello, da Il Corriere del Veneto
Vacanze a Matera. Toccherà a lei essere la «Capitale europea della cultura 2019». Mica a noi (già clamorosamente bocciati con la candidatura Venezia a vantaggio dei lucani). E Matera farà dei «sassi» - cioè il corpo architettonico e urbanistico di quel bellissimo centro storico - il palcoscenico di tutte quelle iniziative. «Sassi» che stanno tornando intriganti e splendenti, quasi per dimenticare di essere stati dolenti. Ma Matera mostra anche altri sassi: quelli che scendono dalla città , travi e piloni in cemento, fino ad una galleria e poi di nuovo travi e piloni in cemento. Ossia: 25 chilometri di tracciato ferroviario, di cui 11 in galleria e 14 in cavalcavia, per arrivare a una stazione nuova di zecca. Da cui non partirà mai alcun treno: il buco della galleria è pieno di gas, il viadotto in ferro (giusto davanti alla «cripta del peccato originale»: dipinti che tolgono il fiato) il viadotto di ferro si è «seduto» quando è stato appoggiato, mancano poi armamento ed elettrificazione.
Mancano insomma altri 150-200 milioni di euro, dopo averne già spesi altrettanti ed Rfi giura che non li metterà mai. Anche perché serve solo Matera (60.000 abitanti) e non c'è traffico. Per quei «sassi» non c'è alcun futuro. Maledetta storia che conferma il giudizio di Nicola Rossi: al Sud, il problema non sono i soldi. Il problema è la classe dirigente, anzi: la classe politica che tutto dirige, uno statalismo poco meno che sovietico etc. Ma antiche reminiscenze dell'eterna «quistione meridionale» si accompagnano, nel veneto turista, a più recenti e domestiche cronache, che sanno anche di beffa.
Perché noi, noi del Nord, abbiamo sperato che «i produttori» prendessero il posto di una classe politica che, passate le ristrettezze della ricostruzione, s'era messa a spendere e spandere, mettendo su debiti.
La nostra fiducia e fede (perché da noi ci mettiamo sempre anche un po' di fede) era che loro, così bravi a tirar su fabbriche (e soldi), fossero bravi anche a tirar su quel che serviva fuori dalle fabbriche. Senza buttare soldi.
Ahimé: «sassi». Aeroporto, interporto, mercato: con le magre risorse di oggi la Ccia di Vicenza fatica a liquidare i grassi buchi di ieri. Vega: un gran sasso ai piedi della laguna di Venezia, mezzo vuoto e pieno di debiti. Che ospitò, raccontano gli storici, Nanotech, altro illustrissimo caso di insuccesso nel rapporto pubblico-privato. E poi a Treviso, il bottiano (di Mario Botta) sasso che sta in Appiani, dove i conti non tornano. E torneranno mai? Basta. Mi fermo. Non parlo di banche, centri post universitari, parchi scientifici ed altro. Raccontare i disastri non è bello.
In ogni caso, una beffa: cambiati gli attori, dai politici di ieri ai «produttori» di oggi, il prodotto non cambia. E vien da pensare, a dispetto di alcuni, che l'Italia è più unita che mai.
Al ritorno dalle vacanze spiegavo ad un ragazzo, giovane e di belle speranze, che ammiravo la sua voglia di cambiare proprio tutto. Da vecchio, avevo solo da dire che il sogno socialista è molto difficile. Ma quello liberal ancora di più. Così sembra, qui da noi.
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