I salvataggi bancari costano oltre 24 miliardi, Il Sole: è il «conto» per Stato (13,2 mld) e privati (11,2 mld) dei casi good banks, MPS, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca
Lunedi 28 Agosto 2017 alle 20:00 | 0 commenti
Ventiquattro miliardi e e 411 milioni. È l'ammontare a carico di Stato e privati (senza contare vecchi soci risparmiatori e obbligazionisti, ndr) per i salvataggi del settore bancario in Italia, dalle good banks a Mps alle venete. La stima tiene conto degli investimenti andati definitivamente in fumo e delle somme anticipate, comparate con i valori medi che oggi il mercato riconoscerebbe agli asset sottostanti (azioni e Npl) nel caso in cui si dovessero chiudere immediatamente tutte le partite: del conto finale, oltre la metà (13,2 miliardi) sarebbe a carico dei contribuenti, ma altri 11,2 miliardi dei privati.
Viste le partite tuttora aperte, il conto è provvisorio. Ma fa comunque una certa impressione: 24 miliardi e 411 milioni. È l'ammontare a carico dello Stato e dei privati per i grandi salvataggi del settore bancario in Italia, dalle good banks a Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
La stima, elaborata da Equita Sim insieme a Il Sole 24 Ore, tiene conto degli investimenti andati definitivamente in fumo e delle somme anticipate a vario titolo dallo Stato (o dai privati, nel caso degli obbligazionisti convertiti di Mps) comparate con i valori medi che oggi il mercato riconoscerebbe agli asset sottostanti (azioni e Npl) nel caso - teorico - in cui si dovessero chiudere immediatamente tutte le partite: del conto finale, oltre la metà (13,2 miliardi) sarebbe a carico dei contribuenti, ma altri 11,2 miliardi dei privati.
Il conto, salatissimo, merita di essere esaminato voce per voce. In ordine di tempo, la prima partita è quella di Banca Marche, Etruria, CariFerrara e CariChieti: chiusa da tempo (anche se in futuro qualcosa dovrebbe tornare "al sistema" con le plusvalenze ottenute da Rev o Atlante 2 sugli Npl), finora è costata circa 4,7 miliardi, in gran parte a carico delle banche sane. Queste ultime, infatti, hanno sostenuto le ricapitalizzazioni prima della cessione a un euro a Ubi e Bper, nonché il ristoro dei bondholder retail attraverso il Fondo di solidarietà istituito presso il Fitd.
Tre volte in più è costato invece riparare i danni compiuti in anni di mala gestio a Vicenza e Montebelluna: per le due ex popolari, liquidate e finite a Intesa Sanpaolo a giugno, ad oggi il conto è di 15,8 miliardi. Di questo importo, 3,5 miliardi sono da considerare definitivamente persi: si tratta della ricapitalizzazione a più riprese effettuata da Atlante 1, e quindi dai suoi sottoscrittori privati, tra la primavera 2016 (2,5 miliardi) e inizio 2017 (un miliardo), quando ancora si sperava di poter tenere in piedi i due istituti.
Poi la situazione è precipitata, e in estate è intervenuto lo Stato nell'ambito del processo di liquidazione. In totale, come aveva spiegato il ministro Padoan, l'impegno complessivo ma potenziale del Tesoro è di 16,6 miliardi: di questi, 4,785 sono finiti a Intesa per ricapitalizzare gli asset acquisiti e coprire i costi di integrazione, gli altri nei fatti sono solo a futura garanzia. C'è fino a un miliardo e mezzo promesso sempre a Intesa per fare fronte a eventuali cause legali, più la possibilità fornita sempre a Ca' de Sass di retrocedere alle banche in liquidazione fino a 4 miliardi di crediti ricevuti insieme al resto in quanto performing: stimando che vengano tutti dismessi al valore medio riconosciuto dal mercato ai crediti unlikely to pay (50%), per lo Stato si profilerebbe un'altra perdita di 2,4 miliardi. E poi c'è il capitolo Sga, cioè i 18,8 miliardi lordi di sofferenze e incagli finiti all'ex bad bank del Tesoro: sono rispettivamente coperti al 58,8% e al 32%, quindi una vendita immediata provocherebbe un'ulteriore minusvalenza di 2,4 miliardi. «È ovvio che tutto dipende dal successo dei recuperi che il Tesoro, attraverso la Sga, riuscirà ad attuare nei prossimi anni», fa notare Giovanni Razzoli di Equita Sim: è sulla base di queste attese, d'altronde, che il ministro Padoan nelle settimane scorse è arrivato a dire che dall'operazione in futuro potrebbe addirittura profilarsi un ritorno positivo per lo Stato.
Lo stesso vale per il Monte: oggi, di certo, c'è solo «la normalizzazione più veloce del previsto del funding mix e del business ordinario», osserva Razzoli, da cui desume che «gli investitori possano avere una fiducia maggiore del previsto sulla capacità di tornare alla profittabilità della banca». Con una valutazione di 4,7 miliardi - che Equita ritiene corretta - il mark-to-market della partecipazione dello Stato in Mps segnerebbe un rosso potenziale di 2,1 miliardi, che sale così a oltre 13 miliardi includendo il salvataggio delle banche Venete, mentre il conto per il settore bancario e degli altri investitori privati sarebbe di circa 11,2 miliardi.
Per conoscere il conto finale ci vorranno anni. E molto dipenderà dall'andamento dei mercati: quanto e quando potrà rivalutarsi Mps, le capacità di recupero e la ripresa dei prezzi degli Npl. In ogni caso, «l'aver risolto i casi più gravi senz'altro ha contribuito a migliorare la percezione complessiva del mercato sulle banche italiane», osserva Mirko Sanna, direttore Financial services di S&P Global Ratings: «Certo rimane il rischio politico, che in Italia è particolarmente rilevante, ma ci aspettiamo che ora possa procedere anche più speditamente il processo di aggregazione, inevitabile anche per la profonda evoluzione dei modelli di business».
di Luca Davi e Marco Ferrando, da Il Sole 24 Ore
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