Giovani e lavoro, basta prenderci in giro: VicenzaPiù n. 203
Martedi 7 Dicembre 2010 alle 23:58 | 0 commenti
Si sprecano i convegni sul futuro delle nuove generazioni. Discorsi vuoti e ipocriti, mentre la precarietà resta intoccabile. I bamboccioni? I ragazzi che non si ribellano
Quando sento un vecchio arnese dell'establishment politico-economico proclamarsi dalla parte dei giovani, metto mano al portafoglio e mi chiedo: dov'è la fregatura? Il sommo officiante dell'ipocrisia generazionale, in questo momento, è quel bellimbusto di Luca Cordero di Montezemolo.
 Il presidente della Ferrari s'è inventato una testa di ponte per sbarcare in politica, la fondazione Italia Futura, e da quel pulpito organizza ameni convegni in cui atroci banalità si sprecano con gaudio. "Giovani, al lavoro!", si è intitolato quello del 24 novembre scorso in cui fra gli altri è intervenuto Antonio Campo dall'Orto, "esperto" giovanile in qualità di presidente di Mtv. Un luminare nel settore il cui contributo sarà decisivo: «Mtv finanzierà due borse di studio. Poi, dal 2011 partirà il sito di informazione Iovoto.it per spiegare a tutti cosa voglia dire impegnarsi in prima persona, dal consiglio di classe al consiglio comunale... Bisogna ricominciare dalla rivalutazione dei talenti, che in Italia non mancano» (Corriere della Sera, 24 novembre 2010). Ma dai? E noi che pensavamo si dovesse partire dal far piazza pulita delle rendite familiari e di potere, dei nepotismi e delle raccomandazioni, delle reti di complicità e delle mafie e mafiette, di partito o di potentato, che appestano il paese. Come faranno mai questi benedetti "talenti" a emergere, se sono sistematicamente soffocati da questa cancrena di interessi fossilizzati? Montezemolo e mister Mtv, paraculi doc, si guardano bene dallo svelare questo mistero buffo.
A Vicenza certi convegnoni assolutamente inutili e offensivi nel loro paternalismo non ce li siamo fatti mancare. Di recente ne ha promosso uno la Confindustria locale: "Scuola e Lavoro-Conoscere per scegliere", nel ridotto del teatro comunale. E si sono ascoltate le solite solfe: i ragazzi vanno indirizzati verso i nuovi mercati (cioè? in pratica? ci laureiamo tutti in ingegneria e informatica, quando l'India sforna centinaia di migliaia di super-tecnici a basso costo?), verso i non meglio specificati "servizi alla persona" (boh), bisogna "fare squadra" (ma che vuol dire?), servono "tecnici specializzati" (dobbiamo diventarlo per forza tutti? e chi non vuole o non è portato, lo abbandoniamo alla disoccupazione e alla frustrazione?). Tali vuotaggini sono una testimonianza di come non siamo più noi, uomini e donne in carne e ossa, a dirigere l'economia che, globalizzata, ormai va per conto suo, ma è l'economia, incontrollata e meccanica, che controlla noi, e che ci obbliga ad adeguarci al suo meccanismo senz'anima. L'uomo da fine è diventato mezzo. E addio alle aspirazioni, alle attitudini, alla libertà di diventare ciò che si è. E allora lasciateci sfogare. Chi scrive ha 30 anni tondi, una laurea in quella che doveva essere una delle facoltà universitarie più promettenti in un avvenire sempre meno manuale e sempre più virtuale (scienze della comunicazione, a Padova), cinque anni di esperienza sul campo come giornalista locale, interessi che spaziano dalla filosofia alla musica (suonata con un gruppo che crea dischi originali, non i tormentoni delle major martellati in radio), insomma una vita non certo malvissuta a cazzeggiare sulle spalle dei genitori, e mi ritrovo senza avere un reddito decente, ripeto decente, con cui poter campare del mio e sul mio. Il desiderio della mia generazione sarebbe terra terra, una volta si sarebbe detto piccolo borghese: un tetto sostenuto in proprio, una paga per le spese correnti e l'avanzo di tempo per godersi, se vivaddio ci sono, le passioni che ci rendono ancora umani, e non automi incatenati alla macchina produttiva. Ma tutto ciò è ormai un sogno. O meglio: un privilegio. Vengono a parlarci di progresso, di sviluppo, di opportunità per tutti, gli ingenui, gli stupidi e i farabutti che propagandano la bontà del sistema in cui viviamo. La realtà è che siamo tornati indietro almeno di duecento anni, quando l'imperscrutabile (si fa per dire) logica dell'industrialismo schiavizzava le masse di lavoratori costringendoli a faticare sempre di più per essere pagati sempre di meno. Con la differenza che allora, agli albori di questa fallita civiltà "moderna", la disumanizzazione generò contro-movimenti (socialismo operaio) nati da una naturale reazione di rivolta. Oggi, a parte sparute minoranze isolate e inascoltate, la rassegnazione regna sovrana e manca proprio ciò che i giovani in ogni epoca sono portati a fare per spontaneo spirito di rinnovamento: ribellarsi all'ordine costituito, cambiare il mondo. I giovani non hanno bisogno di elemosine, di aiuti e aiutini economici (gli spiccioli per formazione, bonus, brevetti, prestiti) dalla Ministra della Gioventù Giorgia Meloni (già il fatto che la "gioventù" sia ministerializzata rende l'idea della considerazione in cui è tenuta: una razza di minus habens, una riserva indiana di braccia e menti da avviare all'alienazione). E non devono neppure seguire come pecoroni le parole d'ordine della politica dei partiti, le loro concezioni antiquate, i loro luoghi comuni buoni per il secolo scorso. No, devono incazzarsi e fare tabula rasa, mandare a quel paese tutto e tutti e riconquistare il proprio destino. Io, nel mio piccolo, che pure aspiro a quel tanto di dignità che dovrebbe permettermi di vivere in autonomia, lo faccio scrivendo ciò che scrivo, che viene dal cuore e anche dal fegato. Ma voi, ragazzi già cresciuti che pur avendo capacità e volontà siete ostaggio delle vostre famiglie (il vero welfare all'italiana), cosa fate? Cosa fate per liberarvi dalla cappa della precarietà esistenziale, che vi impedisce di mettere in cantiere progetti a lungo termine e realizzare i vostri desideri? Chi a trent'anni non cerca alternative vere e radicali allo stile di vita dominante, chi non sente il bisogno di evadere dal carcere "produci, consuma, crepa", chi non prova la curiosità per modi di pensare diversi dalla truffa ideologica destra-sinistra (ci sono, ci sono, è che se non passi in televisione non esisti, maledizione) e si accuccia nel facile qualunquismo, quello è un bamboccione. Invece, scusate l'immodestia, se a me (e a chi, come me, fa quanto può per sabotare questo baraccone schiavista) un qualsiasi parruccone viene a dire che sono un bamboccione, giuro che gli spacco la faccia.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.