Presunta "gara degli aghi" al San Bortolo, Ulss 8 ricorre in appello
Venerdi 27 Gennaio 2017 alle 08:37 | 2 commenti
Nuovo capitolo nella vicenda del braccio di ferro fra l’ex primario del Pronto soccorso Vincenzo Riboni e l’Usl 8 Berica: l’azienda sanitaria è infatti ricorsa in appello contro la sentenza di dicembre, strascico del noto caso della «gara degli aghi» che all’inizio del 2016 aveva creato uno scandalo all’ospedale San Bortolo di Vicenza. La vicenda della presunta gara ipotizzata in una chat di Whatsapp fra sei infermieri e due medici, risalente al 2015, era stata denunciata ai vertici da Riboni all’inizio dell’anno.
Non trovando prove che il fatto fosse realmente accaduto l’Usl aveva archiviato le posizioni di sei degli otto, e richiamato gli altri; in parallelo il sindacato degli infermieri Nursind aveva presentato un esposto ai vertici Usl contro lo stesso primario, accusato di aver dichiarato il falso. A dicembre si è concluso un procedimento iniziato su istanza del primario Vincenzo Riboni, contro la sospensione di dieci giorni decisa dall’Usl 6 per aver dichiarato ai vertici aziendali che la gara effettivamente era avvenuta: al medico non è stata concessa la sospensiva richiesta (la sanzione era già stata comminata) ma il giudice Paolo Talamo ha concluso che era comunque plausibile ritenere che Riboni non fosse consapevole di dichiarare il falso. L’Usl guidata dal dg Giovanni Pavesi ha comunque accolto positivamente quanto sentenziato, dichiarando la decisione tocca un aspetto «fondamentale, per la prima volta un giudice ribadisce che la gara non è mai avvenuta» oltre a riconoscere che la testimonianza di Riboni «non corrispondeva ai fatti». Anche se il primo grado si è concluso favorevolmente per l’azienda, comunque, ora l’Usl propone appello e chiede la parziale revisione di quanto sentenziato: in particolare, si oppone al pagamento delle spese processuali, 2100 euro. Inoltre l’azienda sanitaria contesta una parte delle motivazioni addotte dal giudice nel primo grado. Il magistrato nel testo aveva infatti specificato una serie di motivazioni che a suo avviso rendevano plausibile la difesa del primario, ovvero l’inconsapevolezza di dichiarare il falso: a partire dal fatto che la conversazione coi dipendenti fosse stata lunga e concitata, oltre allo lo choc di ritrovare una chat così di cattivo gusto riferita a dei pazienti. L’ex primario intanto a metà dicembre ha formalizzato la chiusura anticipata del rapporto di lavoro e dall’inizio del mese non guida più il Pronto soccorso dell’ospedale vicentino.
Di Andrea Alba, da Corriere del Veneto
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