BPVi e Veneto Banca, CorSera: il 2016 dovrebbe chiudersi con 3 mld di perdite
Lunedi 6 Marzo 2017 alle 09:15 | 0 commenti
Due date, tre miliardi di perdite e una montagna di sofferenze a cui trovare un prezzo. La primavera per le due ex popolari venete è ancora lontana. Sulla loro strada il primo nodo si scioglierà la prossima settimana, il secondo otto giorni dopo. Mercoledì 15 marzo scadrà il termine per le adesioni alla Opt di Veneto Banca, l’Offerta pubblica di transazione. Il 22 arriverà a termine l’offerta della Popolare di Vicenza. Solo allora, contando le adesioni, sarà possibile capire quanti soci avranno deciso di rinunciare a ogni possibile azione legale in cambio di 9 euro (6 per la Veneto), mantenendo però il possesso azionario.Â
Sarà un dato chiave per stimare l’impatto delle possibili cause civili residuali e il loro peso sui bilanci futuri. Non ci saranno, è il caso di sottolinearlo, offerte al rialzo all’ultimo minuto, non ci sarà un intervento salvifico dello Stato per i 170 mila soci oggetto dell’offerta. Prendere o lasciare. Dare fiducia ancora un volta, recuperando il 15 per cento di quanto venne investito, o indicare la strada della chiusura. Difficile pensare che il target dell’80 per cento fissato dal presidente della Vicenza, Gianni Mion, possa essere raggiunto. Ma forse basterebbe avvicinarsi per dare una speranza di continuità a un progetto a cui stanno venendo meno i fondamentali. Infatti, l’esercizio 2016 dovrebbe chiudersi, per le due banche nel loro complesso, con perdite attorno ai 3 miliardi di euro. Ma soprattutto, considerando gli ultimi dati di bilancio disponibili, risalenti al 30 giugno 2016, è evidente lo svuotamento delle casse e l’impoverimento dei margini che derivano da una profonda crisi di fiducia nella clientela, dopo la ventennale gestione che ha fatto capo a Gianni Zonin e Samuele Sorato a Vicenza e a Vincenzo Consoli e Flavio Trinca a Montebelluna. La situazione è estremamente complessa e fragile. La Vicenza ha accantonato 94,38 milioni per il contenzioso azioni e Veneto 101,972 milioni. In entrambi i casi cifre inadeguate per far fronte ai 210 mila azionisti complessivamente truffati dalle precedenti gestioni e a un capitale azzerato dai precedenti 11 miliardi. Ed è questo che allarma il socio di controllo Fondo Atlante, che ha già versato nelle casse delle due banche 3,5 miliardi di euro negli ultimi nove mesi senza vedere effetti di sostanziale inversione della tendenza. Sul piano operativo, se le adesioni alla Opt dovessero essere in numero confortante, si aprirebbe la partita dei Non performing loans , ovvero dei prestiti erogati e non restituiti alle banche. Complessivamente sono 17,285 i miliardi di euro non rientrati e di questi 10,165 miliardi non sono ancora stati spesati a bilancio. È una partita particolarmente ricca che ha attirato l’attenzione di sette operatori: Fonspa, Prelios, Fortress attraverso Italfondiario, Cerved, Lone Star, Pimco e Banca Ifis. In un recente intervento, il governatore della Banca d’Italia ha evidenziato come, storicamente, i Non performing loans valgano in Italia il 41 per cento del valore facciale e che solo la crisi degli ultimi anni ha compresso questo valore di sistema al 36 per cento. A quanto verranno cedute le sofferenze delle due ex popolari venete? Se, come sembra, gli acquirenti intendono muoversi con le loro offerte attorno al 20 per cento, sono evidenti le proiezioni sui possibili ricavi. Sulla partita che andrà ad aprirsi c’è molto interesse. Dal lato della banca la cessione necessaria dei prestiti non performanti aprirà un buco a bilancio tanto più grande quanto sarà ampio lo scostamento del prezzo di vendita dal prezzo caricato a libro. Un vuoto che andrà successivamente colmato da ulteriori aumenti di capitale che dovranno ricostituire una solidità patrimoniale venuta meno. E su questo si è anche acceso il faro della Vigilanza europea, che sta analizzando i progetti di bilancio considerando le due banche stand alone , perché sono ancora troppe le variabili sul tavolo. Ad iniziare, appunto, dalle adesioni alla Opt. Sullo sfondo, al pari di quanto sta accadendo a Siena con il Monte dei Paschi, l’entrata dello Stato nel capitale. Ipotesi non remota, che apre a scenari di rara complessità : entrambi gli istituti hanno una struttura ridondante del personale, soprattutto nell’ipotesi di creazione di una banca unica, ipotesi che renderebbe pleonastica almeno una delle due strutture centrali. Come interverrebbe in quel caso lo Stato? Intanto, operativamente, il consiglio di amministrazione della Vicenza, che si è riunito martedì scorso nel capoluogo berico, ha sospeso la procedura di vendita del proprio portafoglio immobiliare inizialmente affidata a Equita. I sondaggi di mercato aprivano un delta troppo ampio tra i prezzi di carico e di possibile realizzo, anche in presenza di palazzi storici, nel centro di Milano e Roma. Procede invece, con un mandato agli inglesi di Elm, l’alienazione delle attività di Nem, ovvero Nord Est Merchant, la cassaforte in cui in passato sono state racchiuse le partecipazioni. La società ha registrato interesse di alcuni fondi per le partecipazioni in portafoglio, al momento una quindicina, tra cui Corvallis, Doreca, Braccialini, Polynt, Manutencoop, Forexchange e Sirti. L’obiettivo è noto: fare cassa e alleggerire una struttura sovradimensionata per le esigenze future dell’istituto di credito.
Di Stefano Righi, da Corriere Economia
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