Come anticipato si è svolto il convegno sulla lotta alla corruzione organizzato dal Gruppo Consiliare Fratelli d'Italia - AN- MCR checha attirato circa cento persone. Un tema molto sentito, che ha riempito la sala dei chiostri di Santa Corona. Luigi Bacialli, moderatore del convegno, introduce i due relatori: Piercamillo Davigo, giudice della Corte di Cassazione, e Sergio Berlato, consigliere regionale Fratelli d'Italia - AN - MCR. Prende subito la parola Berlato, che introduce Davigo. "Credo sia importante continuare nella nostra battaglia" è stata la sua frase d'esordio. Ricorda Berlato che la corruzione viene pagata dai cittadini.
 "Già parlarne è un modo per contrastare questa piaga. Abbiamo invitato a presenziare tutti i politici e i consiglieri regionali, ma, come succede in questi casi, c'è poca partecipazione. La corruzione non è solo nei politici, ma anche nei funzionari. Dobbiamo attivare sinergie che ci diano strumenti per applicare le norme in maniera giusta."  Berlato, in quest'ottica, ha proposto una legge statale che prevede dei test di integrità . Si dovrebbe inserire un agente provocatore che, sotto copertura, controlli il grado di corruttibilità nelle amministrazioni. "La corruzione si può sconfiggere con una rivoluzione culturale. Ogni cittadino deve essere poliziotto di se stesso. Fin da bambini dobbiamo capire che non si deve rubare perché non è giusto farlo, non perché c'è il rischio di essere pizzicati."
Prende, successivamente, la parola Piercamillo Davigo. "La corruzione non è un singolo caso come si percepisce dalla tv. È un fatto seriale: chi lo fa una volta, lo fa sempre. Generalmente, in un ufficio, sono quelli "buoni", cioè onesti, a doversene andare via perché pericolosi." Spiega Davigo che la corruzione ha caratteristiche particolari. Innanzi tutto, gli indici rivelatori non sono immediatamente percepibili. Questo per vari motivi: la corruzione non viene mai denunciata ("Non ho ricordo di denuncia all'esito di indagini specifiche") perchè è nota solo ai corruttori; non ci sono testimoni; di conseguenza nessuno denuncia. A questo si aggiunge il fatto che le forze di polizia, in Italia, sono corpi strutturati come organi di pubblica sicurezza e solo in secondo piano sono polizia giudiziaria. In parole povere, le forze di polizia sono strutturate per la repressione dei reati visibili. Non ci sono organi che abbiano una funzione proattiva e che vadano a indagare e quindi è difficile scoprire qualcosa. Se succede di scoprire qualche reato di corruzione è perché ci si incappa, probabilmente indagando su altro. Il metodo principale di corruzione è la redazione di fatture di operazioni inesistenti, però, pian piano, si è capito che così operando si lasciavano troppe tracce. Allora, per mettersi in terreno sicuro, si è iniziato a vendere servizi. Detto ciò, Davigo torna a parlare della serialità della corruzione. Un concetto che viene spiegato con una frase molto semplice: "I mafiosi sono come i pidocchi, vanno dove c'è lo sporco". Tornando alla parte tecnica,  nel reato continuato la pena è scontata. Se si eseguono cinque furti, si prende in esame l'ultimo, ma poi la pena viene triplicata. Praticamente due furti non vengono contati. Le cose sono cambiate con la legge ex Ciriello, che prevede di prendere in considerazione i reati singolarmente. Questa legge non agevola le indagini contro la corruzione, appunto perché la corruzione è un reato continuativo. Con la legge ex Ciriello si impedisce di guardare all'insieme, avendo a disposizione meno testimoni, meno fatti e un arco temporale breve che limita il raggio d'azione delle indagini. "Vorrei vivere in un mondo dove ci vuole il coraggio di essere delinquenti, non il coraggio di essere onesti", dice Davigo. "Mi arrabbio quando mi dicono che tutti rubano. Io ribatto: "Tu rubi?" E mi rispondono sempre di no. Allora dico: "Nemmeno io. Siamo già in due che non rubiamo, quindi non siamo tutti." Si deve dire che in molti rubano. Questa è la base per distinguere le persone e fare processi per combattere la corruzione."
Un applauso scrosciante per Davigo, che ha attirato l'attenzione dei presenti, con la sua esperienza, la sua storia e la sua ironia.
Riprende la parola Berlato per fare un invito: "Vale la pena combattere questa battaglia perché lo dobbiamo ai nostri figli. Le cose che contano sono i valori per i quali dobbiamo combattere. Non dobbiamo partire scoraggiati. Dobbiamo conoscere il problema e avere il coraggio di indignarci."Â
Al termine del convegno sono intervenute alcune persone che hanno espresso il loro appoggio all'onorevole Berlato e alla sua lotta alla corruzione, apprezzando la sua linea d'azione che, dicono, in Italia seguono in troppo pochi.Â