CorSera: Il ruolo di Atlante e il nodo delle sofferenze
Giovedi 22 Dicembre 2016 alle 09:53 | 0 commenti
 
				
		Ora si capisce di più perché due settimane fa la Bce è stata rigidissima nel non concedere neanche 20 giorni in più al Montepaschi per portare avanti l’aumento di capitale sul mercato: la liquidità rischiava di assottigliarsi tanto da mettere a rischio la stessa «sopravvivenza» di Mps. I numeri lo dimostrano. Se solo il 14 dicembre la banca dichiarava che — in uno scenario teorico di forte stress — avrebbe avuto liquidità per 11 mesi, in appena due giorni la situazione è ulteriormente peggiorata: ora c’è liquidità sufficiente solo per quattro mesi.
Ma più in generale la Vigilanza di Francoforte ormai non  credeva più all’operazione così come impostata da Jp Morgan e  Mediobanca, e forse anche questo ha contribuito ad aggravare il quadro  di Mps, nonostante la rete in due soli giorni sia riuscita a recuperare 1  miliardo dalla conversione dei bond in mano ai risparmiatori.  I 5  miliardi di euro da recuperare sul mercato entro l’anno avrebbero dato  respiro alla banca guidata da Marco Morelli. Ora invece bisognerà fare  ricorso al polmone finanziario del Tesoro, non è ancora chiaro in quale  forma. Lo Stato avvierà così la nazionalizzazione della banca senese,  oltre 80 anni dopo la nascita dell’Iri di Alberto Beneduce che salvò —  nazionalizzandole — le vecchie Comit, Credit e Banco di Roma.  A  far tracollare l’operazione di salvataggio è stata innanzitutto la  mancata adesione del fondo sovrano del Qatar, Qia, di fatto l’unico tra  gli oltre duecento investitori internazionali individuati da Jp Morgan  ad avere mostrato una qualche disponibilità a investire nel Monte con  circa 1 miliardo. Gli arabi avrebbero dovuto essere  quell’investitore-perno (anchor investor) di un nuovo azionariato di  Siena, con accanto sempre il Tesoro ma nelle vesti di azionista privato  con il 4%, eredità dei precedenti aiuti di Stato (i Tremonti e poi i  Monti Bond). In realtà gli arabi — assistiti dalla banca Rothschild —  non erano mai usciti allo scoperto, in attesa di capire che cosa sarebbe  successo con il referendum del 4 dicembre. Le dimissioni di Matteo  Renzi avrebbero però privato il Qatar di un interlocutore privilegiato  che avrebbe potuto garantire loro altre contropartite in Italia. Così i  qatarini si sono sfilati, nonostante i tentativi in extremis del  riconfermato ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Ma anche  la partita della vendita dei 27,7 miliardi di crediti in sofferenza  (npl) è stata travagliata fin dall’inizio. Era basata su un  prestito-ponte messo in piedi da Jp Morgan molto complesso —  inizialmente di 6 miliardi, poi ridotto a 4,7 miliardi — e che fino  all’ultimo è stato oggetto di scontro fra gli americani e il fondo  Atlante, che avrebbe dovuto investire 1,6 miliardi per l’acquisto di una  tranche di crediti. Un braccio di ferro risoltosi appena tre giorni fa,  ad operazione già ai supplementari.  Adesso la domanda è: con il  Tesoro azionista di maggioranza, si procederà ancora nella  cartolarizzazione? La Quaestio sgr di Alessandro Penati, che gestisce  Atlante, ieri sera ha fatto sapere che — contrariamente a quanto  indicato in mattinata dalla stessa Mps — è disposta ancora a partecipare  all’operazione, alle condizioni che La banca stabilirà, ma senza più il  famigerato prestito-ponte, che nasceva solo dall’esigenza di anticipare  a Mps i ricavati della vendita degli npl ed era enormemente costoso.  Con in pancia i miliardi dello Stato, i tempi di Siena potrebbero essere  diversi. 
Di Fabrizio Massaro, da Corriere della Sera
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