Corriere economia: Veneto banca e BPVi verso la fusione, ma tecnicamente già fallite
Lunedi 31 Ottobre 2016 alle 09:23 | 0 commenti
Un intervento al limite del crollo. Un po’ come il palazzo rosso di Amatrice, rimasto in piedi durante la prima ondata sismica e crollato giovedì scorso. Proprio in quelle ore le quasi contemporanee dichiarazioni di Gianni Mion, presidente delle Banca Popolare di Vicenza e di Giuseppe Guzzetti, presidente della Fondazione Cariplo, hanno fatto intendere a molti come la situazione in Veneto sia andata ben oltre il livello di guardia. Non tanto per la severa presa di posizione da parte della Bce — che sembra avere suggerito la fusione tra i due istituti veneti e il contemporaneo aumento da 2,5 miliardi di euro (a carico di chi?) — quanto per il nervosismo fatto trapelare da due presidenti — Mion e Guzzetti — avvezzi al mondo della finanza, navigatori di ogni mare e poco inclini al sensazionalismo.
Se Mion dice: bisogna fare presto, ci sono 1.500 esuberi e servono soldi freschi — di fatto scordandosi le buone maniere nei confronti delle organizzazioni sindacali e bypassando le prerogative del suo consiglio di amministrazione — evidentemente dispone di riscontri che vanno oltre i comunicati ufficiali. Se Guzzetti si permette di tirare pubblicamente le orecchie a quelle banche estere — come Bnl-BnpParibas e Crédit Agricole — che nonostante la ultradecennale presenza sul mercato retail italiano non hanno partecipato alla campagna pubblica di foundrasing lanciata dal Fondo Atlante, significa che sei mesi dopo, le chiacchiere, ma soprattutto i soldi, stanno a zero. Il non detto, in questi casi, pesa addirittura più di quanto emerge. Veneto Banca e soprattutto Popolare di Vicenza sembrano incapaci di produrre reddito, di riprendersi da quello stato comatoso a cui le hanno ridotte le scellerate gestioni che facevano capo a Vincenzo Consoli e Flavio Trinca a Montebelluna e a Samuele Sorato e a Gianni Zonin, sotto monte Berico. Le ultime semestrali si sono chiuse con perdite per 1.067 milioni (795 milioni a Vicenza, 272 a Montebelluna). La fiducia nei confronti delle banche da parte della clientela non accenna a risalire. Il rapporto con il territorio si è deteriorato e soprattutto le lunari richieste della Vigilanza europea prescindono da un fatto sostanziale: le due banche sono già tecnicamente fallite, vengono tenute in vita esclusivamente dalla ricapitalizzazione effettuata dal Fondo Atlante con denari riconducibili alla parte sana del sistema creditizio italiano, ma pensare a nuove iniezioni di finanza fresca — finalizzate al rispetto di complessi indici patrimoniali — è, al momento, irreale. Anche prescindendo dalla promessa del Fondo Atlante agli investitori della prima ora — 6 per cento di rendimento annuo del capitale — le parole di Guzzetti chiariscono il senso del momento, visto dai protagonisti dell’operazione finanziaria in atto: «avrei fatto meglio a non partecipare — ha detto il numero uno dell’Acri — perché ho costretto i miei amici e colleghi a metterci 536 milioni». La riunione di venerdì scorso a Milano nello studio Orrick Herrington & Sutcliffe apre a nuovi scenari, a una superbanca che unisca e affoghi in se stessa il disastro che si è creato e che ammonta, al momento, a 15 miliardi di euro. Con prospettive occupazionali terrificanti: si intravvedono 4 mila tagli. Forse di più. A cui si aggiunge l’indotto del Nordest: comunque finisca è la Caporetto dell’ex locomotiva d’Italia.
Di Stefano Righi, da Corriere economia
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