BPVi-Veneto Banca, Pier Paolo Beretta rilancia sulla fusione
Venerdi 11 Novembre 2016 alle 09:35 | 0 commenti
«Credo nella fusione. Non è il momento di gettare la spugna». Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, rilancia sulla fusione Bpvi-Veneto Banca. Raccoglie l’invito del segretario nazionale del sindacato autonomo bancari Fabi, Lando Sileoni, di andare a cercare con Luca Zaia i capitali per la banca regionale post-fusione tra le due ex popolari e invita il governatore a rientrare in partita: «Giusto che la politica si dia da fare. Ma bisogna partire dal piano industriale. Per gestire i problemi su personale e servizi informatici e vedere chi prenderà la banca quando Atlante si ritirerà ».
Giusto tirarvi per la giacca.
«Penso di sì. Giusto un appello all’imprenditoria locale. Non perché la banca sia più veneta, ma perché i risparmiatori saranno più garantiti se ci saranno anche capitali locali».
E quindi andrà anche a tirar le giacche.
«Sì, m’auguro in condivisione con Regione ed enti locali».
Zaia però ha gettato la spugna. Dice: non c’è interesse.
«Non ha torto, ma dobbiamo insistere. E intanto preparino il piano. Con uno di rilancio, tutto cambierà ».
Ma ci sono ancora imprenditori, dopo quelli fuori gioco per le «baciate» e quelli tenuti fuori perché guardati con sospetto da Bce e Consob?
«Stiamo parlando del Veneto, tra le zone più industrializzate d’Europa. Rifiuto di pensare non ci sia una nuova classe dirigente imprenditoriale per un ruolo di governo del territorio».
Ma le due banche si possono ancora rilanciare?
«Secondo me sì».
Ma servono tanti soldi. Si dice almeno altri 2 miliardi.
«Sì, ma nonostante le fughe, i due istituti hanno ancora molti depositi. Sono state mal gestite, vizi gravi; ma non sono in uno stato fallimentare nel rapporto col territorio. E in Veneto c’è molta liquidità ».
L’impressione è che la gente abbia girato loro le spalle.
«Se fossimo a questo il problema non sarebbero le banche ma il Veneto. Sarebbe l’abdicare al ruolo di classe dirigente che il Veneto ha sempre avuto e che ha saputo affrontare problemi difficili facendone la regione che è. Non dobbiamo rassegnarci».
Sugli esuberi lei insiste sul piano industriale.
«Sì, avendolo in mano, vedremo. Probabile ci siano problemi di gestione conseguenti. Ma, ripeto, conseguenti».
Il governo ha rifinanziato il fondo esuberi.
«Quasi 600 milioni in 3 anni. Esclude licenziamenti e cassa integrazione. Partiamo da lì».
Mion dice che non basta.
«Vediamo. Non posso dirlo, senza un piano industriale».
Quindi la strategia è: fate il piano, dichiarate gli esuberi, usiamo gli strumenti che ci sono e il resto risolviamo con la trattativa, evitando strappi.
«Mi sembra che sul piano industriale siano d’accordo anche i vertici delle banche. Con un piano di sviluppo, tutti dovremo far i conti con il possibile rilancio e gli eventuali sacrifici che comporta. Non penso non sia affrontabile la situazione. Mion pone un problema comprensibile, vuole rilanciare una banca sana. Obiettivo da sostenere. Dico a sostegno: fate il piano industriale e lì si capirà se il gioco vale la candela. E a quel punto tutti staremo al gioco».
Lei crede nella fusione?
«Io sì. Penso non solo che ci sia lo spazio, e so di esser d’accordo con Zaia, ma che sia la strada. Se ci presentiamo con due piani diversi, in concorrenza, rischiamo forte. Se invece il piano prevede un polo del credito importante e immaginiamo per farlo uno sforzo collettivo, vien voglia a tutti di starci. Siamo disponibili ad accompagnare il percorso».
Lo preferisce a vendite separate a gruppi italiani.
«Temo che senza un piano industriale con la fusione rischi di essere una svendita».
Che idea s’è fatto delle dimissioni di Anselmi?
«Lo stimo, ha mostrato, e mantiene, attaccamento a Veneto Banca. Se volessi darne un’interpretazione strumentale potrei dire che dimostra la necessità di fare la fusione».
Ovvero?
«Prova la necessità di un piano industriale. Ora concentriamoci sulle soluzioni».
Quindi Zaia non dovrebbe gettare la spugna.
«Non credo sia il momento di farlo. Capisco le difficoltà , ma l’altro giorno eravamo a Venezia alla nuova darsena dell’aeroporto, la soluzione per la Pedemontana è in piedi. Dobbiamo rafforzare il Veneto che sta lavorando sul dopo-crisi».Di Federico Nicoletti, da Il Corrirere del Veneto
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