BPVi, mancava una procedura informatica sulla compravendita di azioni
Venerdi 18 Novembre 2016 alle 09:14 | 0 commenti
Ordini lavorati «a mano», registri su un file excel senza password e modificati da qualsiasi dipendente. E il progetto di un sistema informatico imparziale nella gestione degli ordini di compravendita delle azioni, quello che a inizio 2015, prima dello scatenarsi della bufera indotta dalle ispezioni Bce il presidente Gianni Zonin aveva immaginato come un «Borsino» gestito dall’Istituto centrale delle banche popolari, che è rimasto al palo per tre anni. Mentre sul fronte delle azioni di responsabilità , dopo il via libera di Veneto Banca l’attenzione si sposta ora su Popolare di Vicenza, che ha convocato la sua assemblea il 13 dicembre, nuovi elementi emergono sugli elementi critici del passato.
Come su quello degli ordini di compravendita delle azioni, che ha generato uno dei filoni principali nel gigantesco contenzioso con i soci. Situazione nota, ma su cui sono emersi, ieri, nuovi particolari sul fronte Bpvi. L’agenzia Ansa ha riportato i dettagli della relazione di gennaio dell’Audit interno di Bpvi, commissionata dallo stesso amministratore delegato, Francesco Iorio. Nel rapporto si rilevano «diversi punti di criticità », in un sistema le cui falle erano note dal 2011 ed erano state messe nero su bianco nel 2012, quando il cda aveva avviato un’analisi per un nuovo sistema informatico. Mai partito in tre anni, nonostante che nel febbraio 2014 il comitato esecutivo avesse autorizzato l’avvio delle attività informatiche. Il rapporto sottolinea la mancanza di una procedura informatica; ma aggiunge che, anche senza di essa, «si sarebbero dovute trovare soluzioni alternative per garantire comunque il rispetto dei principi di pari trattamento degli azionisti» e «la corretta implementazione del registro ordini eseguiti». Una situazione che ha prodotto un contenzioso enorme con i soci che avevano chiesto di poter vendere le azioni. Con casi anche eclatanti, come quello dei 38 milioni della Folco finanziaria investiti tra Bpvi e Veneto Banca, di fatto evaporati, che rischia di portare al crac l’impero finanziario costruito dall’imprenditore Gianfranco Folco. I cui eredi, che avevano tentato di vendere in entrambe le popolari già dal 2013 senza riuscirvi, hanno aperto ora una doppia causa civile tra Vicenza e Montebelluna, seguita dallo studio Rocca di Milano, lamentando proprio il superamento nell’ordine di vendita. Una situazione, sul fronte dei piccoli soci, che si spera di poter risolvere con la partenza dei tavoli di conciliazione. A Vicenza il tema finirà sul tavolo del cda convocato per martedì prossimo, a cui dovrebbe seguire il giorno successivo quello di Veneto Banca. Secondo alcune indiscrezioni, il risarcimento che potrebbe esser proposto ai soci punta a restituire cifre che riducano la perdita delle azioni a quella delle banche quotate. Cifre non se ne fanno; ma una recente ricerca di Unioncamere del Veneto ha definito la perdita media dei titoli delle banche quotate dell’82% dal 2009; cifre che rendono plausibili ipotesi di rimborso sul 15-20%. Intanto mentre si attendono i dettagli dell’azione di responsabilità di Vicenza, non si spegne l’eco su quanto approvato da Veneto Banca l’altro ieri, con la causa nei confronti dei cda, tra 2006 e 2014, dell’epoca di Vincenzo Consoli e Flavio Trinca. Il giorno dopo non macano le osservazioni di Stefano Ambrosini, presidente per tre mesi di Veneto Banca, il docente e avvocato che rivendica la sostanza dell’impianto della relazione del Consiglio di amministrazione approvata due giorni fa: «Il parere di Forensic (il consulente legale esterno incaricato, ndr) lo commissionai io e lo sollecitai per poterlo avere, com’è avvenuto, prima della mia scadenza. Altrimenti i tempi sarebbero stati assai più lunghi». La decisione di concentrarsi, nell’attivare la causa, su 40 affidamenti rilevanti per 400 milioni di euro e perdite per 198, ha sollevato non poche critiche in assemblea, di fronte a una portata sembrata troppo limitata. Soluzione ragionevole, sostiene invece anche Ambrosini, perché «sono stati presi tutti i casi più eclatanti, episodi che si ritiene abbiano prodotto danni chiari e quantificabili. Fondamentale se non si vuole perdere, sparando malamente nel mucchio». Poi un’altra precisazione sulla possibilità di allargare ulteriormente lo spettro dei casi nella causa, come sostenuto in assemblea. Per farlo ora, aggiunge Ambrosini, «si possono solo avviare nuove cause; ma per ciascuna di esse occorre l’autorizzazione dell’assemblea».
Di Gianni Favero, da Corriere del Veneto
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