Banche Popolari, Il Fatto: la Consulta salva la riforma, regolare l’uso del decreto e i rimborsi negati ai soci
Giovedi 22 Marzo 2018 alle 11:10 | 0 commenti
La riforma delle banche popolari supera il rischio più grande: l'esame della Corte costituzionale. Secondo la Consulta la legge che ha terremotato il settore del credito cooperativo, nato su una legislazione di oltre 150 anni, non ha violato la Carta. Sono dunque infondate le questioni di costituzionalità sollevate dal Consiglio di Stato che con due ordinanze aveva portato il testo davanti ai giudici. Come è noto, la riforma varata dal governo Renzi a gennaio 2015 ha imposto alle 10 banche popolari più grandi di quotarsi in Borsa e trasformarsi in Spa rinunciando al "voto capitario" tipico della natura cooperativa (una testa un voto, a prescindere dalle azioni) e di fatto al ruolo di banche del territorio.
In pratica dovevano diventare contendibili sul mercato. Gli effetti non sono stati dei migliori, con Banca Etruria, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca finite in dissesto, altre due - Pop Bari e Pop Sondrio - gettate in un limbo in attesa della Consulta e le altre cinque che devono fare i conti con i fondi esteri attratti dalle "sofferenze" (i crediti inesigibili) che in alcuni casi, come Creval e Ubi, sono ormai maggioranza. Secondo Palazzo Spada il governo aveva violato la Carta scegliendo di usare un decreto legge senza che vi fossero "i caratteri di necessità e urgenza", così come il meccanismo usato per blindare le trasformazioni in Spa bloccando il diritto di recesso ai soci contrari; scelta peraltro affidata a norme attuative scritte da Bankitalia grazie a una sorta di "delega in bianco" a un istituto "privo di legittimazione democratica. Per la Consulta, invece, tutto è rimasto nell'alveo della Costituzione. Il Consiglio di Stato ha invece cancellato il divieto imposto da Bankitalia ai soci degli istituti di creare una holding cooperativa per controllare le banche. Ora Popolare Sondrio e Bari dovranno trasformarsi in Spa.
Resta aperto invece il fronte delle presunte soffiate arrivate a ridosso del decreto a Carlo De Benedetti, il patron del Gruppo Espresso che ha detto al telefono di aver avuto la notizia direttamente da Matteo Renzi prima di ordinare al suo broker Gianluca Bolengo di investire sulle Popolari (incassando 600 mila euro). Dopo le segnalazioni della Consob - che aveva ravvisato il reato di insider trading ma poi ha archiviato - la Procura di Roma ha aperto un'inchiesta indagando il solo Bolengo per ostacolo alla vigilanza. De Benedetti non è mai stato indagato. I pm hanno chiesto l'archiviazione ma il Gip ha fissato per domani un'udienza con le parti in causa (Bolengo e il pm). Dopodiché deciderà se archiviare o chiedere nuove indagini.
Sempre in tema di Popolari, ieri il Tribunale di Vicenza ha deciso il sequestro di 19 milioni di euro a Gianni Zonin, l'ex padre padrone della Popolare indagato per il dissesto della banca costato 6 miliardi.
di Carlo Di Foggia e Valeria Pacelli, da Il Fatto Quotidiano
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