Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca: stallo tra Bce e la Ue, l'aumento è in salita
Domenica 5 Marzo 2017 alle 15:45 | 0 commenti
				
		Più passa il tempo e più si ingarbuglia il nuovo intervento straordinario in Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. L'offerta di transazione per gli azionisti ridotti in briciole dagli aumenti di capitale, entrambi sottoscritti da Atlante la primavera scorsa, procede a rilento (le adesioni sono al 25% della platea complessiva) e il calendario si avvia verso la chiusura dei termini, previsto per il 15 marzo (per la popolare di Montebelluna, il 22 per quella vicentina, ndr). Tanto che all'interno delle due banche si è posto il tema di una proroga, di una quindicina di giorni. Una decisione definitiva non è stata ancora presa, ma molti sono scettici; anche ammesso che alla fine ci sia, l'eventuale proroga arriverebbe solo all'ultimo istante.
Tra i vecchi azionisti serpeggia anche l'idea secondo cui un ingresso dello stato nel capitale potrebbe rivelarsi più vantaggioso per le loro sorti, un'idea che viene ritenuta, da chi è vicino al dossier, contraria alle leggi nazionali e comunitarie.
Ma le note dolenti non finiscono qui, in attesa dell'aumento di capitale  che vedrà necessariamente l'intervento dello Stato. Si va profilando  tra Commissione Europea e Bce lo stesso scontro che sta paralizzando il  Montepaschi (lo scrivevamo anche noi il 25 febbraio scorso sul tema qui sottinteso degli NPL su cui lo stato non può intervenire, ndr): il dossier in questo caso non è ancora formalizzato, ma  quello che sembra emergere anche in questo caso è la diversità quasi  fisiologica di approccio tra le due istituzioni. Da un lato la Bce, che  non ha ancora avanzato la sua richiesta di aumento di capitale - che si  misura nell'ordine dei 5 miliardi - ma punta al maggior rafforzamento  patrimoniale possibile; dall'altro la Commissione, che non vuole profili  distorsivi (troppe risorse dai contribuenti) nel salvataggio delle due  banche.
Un problema nel problema, anche perché in realtà l'aumento,  che serve come il pane alle due banche (insieme chiuderanno il 2016 con  una perdita che sfiora i tre miliardi, stando alle indiscrezioni) non è  stato ancora definito. Non c'è la cifra finale ma, soprattutto, non c'è  chiarezza su chi lo realizzerà. Atlante ha già anticipato quasi un  miliardo, un altro miliardo potrebbe venire dalla conversione dei bond  subordinati: ne mancano tre. L'ipotesi potrebbe essere che facciano a  metà, Atlante e il Tesoro. Dalle ipotesi però per il momento non ci si  muove, anche perché tra i soci di Atlante serpeggia nervosismo: Giuseppe  Castagna, del Banco Bpm, è apertamente contrario a partecipare ad altri  aumenti di capitale; Unicredit ha svalutato oltre il 50% il suo  precedente investimento nel fondo, quindi sarà verosimilmente cauto  all'idea di fare il bis nelle venete; persino Intesa, che pure annovera  tra i suoi padri nobili Giuseppe Guzzetti, strenuo difensore del fondo  Atlante, ha sollevato qualche distinguo per bocca del suo presidente,  Gian Maria Gros Pietro.
D'altra parte il Tesoro, che ha dalla sua un  tesoretto di 20 miliardi per correre in soccorso delle banche in  difficoltà, non ha ancora preso posizione, anche perché non è ancora arrivata una richiesta  ufficiale dalle due banche venete. Che, per di  più, fino a quando non avranno approvato la fusione, restano entità  separate e come tali devono presentare piani di ripatrimonializzazioni  separati a Francoforte.
Così, come in un gioco dell'oca, si ritorna  al punto di partenza: la Popolare di Vicenza e Veneto Banca aspettano  ancora di approvare i conti del 2016, perché prima vogliono chiarire il  quadro dell'offerta di transazione, necessaria per disinnescare le cause  di risarcimento danni in grado di rendere impossibile l'intervento di  ricapitalizzazione. Le autorità sovranazionali aspettano carte formali,  per esprimersi, il Tesoro sembra avere altre priorità e nel frattempo il  tempo passa. Aggravando tutti i problemi.
di Vittoria Puledda, da la Repubblica
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