Astensione primo partito, Lega nuova Dc
Martedi 30 Marzo 2010 alle 11:31 | 0 commenti
Il primo partito è quello astensionista. La Lega Nord ha stravinto. La sinistra o presunta tale diventa una comparsa. Sono questi i tre dati fondamentali che escono dalle urne regionali del 28 e 29 marzo per il Veneto e Vicenza.
Un elettore veneto su tre non è andato a votare, e a questo si devono aggiungere le schede bianche, di pura protesta, o nulle, d'incomprensione del meccanismo. In città ha votato il 63% degli aventi diritto. E' vero che il -7% di veneti votanti, così come la percentuale di astenuti a livello nazionale, sarà recuperato alle prossime politiche, tornata che tradizionalmente fa più presa sull'audience elettorale. Ma il rifiuto di questo sistema partitocratico ha raggiunto comunque livelli impressionanti, e per chi scrive di buon auspicio: significa che forse si avvicina il momento in cui un cittadino su due si accorgerà di essere né più né meno che un suddito chiamato a legittimare ogni tot anni con una crocetta un'oligarchia che occupa abusivamente la vita pubblica.
In quest'ottica il pur eclatante trionfo leghista andrebbe ridimensionato, in quanto frutto della cannibalizzazione di voti altrui, specialmente del Pdl ma anche del centrosinistra, e non recettore dei veri scontenti (in parte, invece, attratti dal piccolo exploit della lista di Grillo).
Il Carroccio è stato consacrato da queste elezioni come la nuova Democrazia Cristiana veneta: trasversale, radicata, espressione d'interessi diffusi, attiva nel mondo finanziario delle fondazioni e delle casse di risparmio, referente prima delle piccole e medie imprese e del ceto medio diffuso, comprensivo di operai e cassintegrati. Nel Vicentino ha raggiunto il 38%, a Vicenza città col 26% marca stretto il primo partito, il Pdl. Variati tenta di minimizzare, ma i leghisti hanno sfondato eccome, e si accaparrano l'ipoteca sul prossimo candidato sindaco del centrodestra. Il Popolo della Libertà diventa l'alleato debole, e scommettiamo che farà di tutto per risalire la china, incluso inciuciare, o dare l'impressione di farlo, col Partito Democratico.
Una forza, quest'ultimo, che di forte non ha niente, neanche più l'ambizione a esserlo. Ha sostenuto poco e male il povero Bortolussi, che però lamentandosi ora dimostra una certa ingenuità , per non dire peggio. Era chiaro che contro uno Zaia era spacciato, ma sognare di conquistare una percentuale decente per il dopo era velleitario. Il Pd non è credibile come variante dotta e moderata dello stesso minestrone riformista, filo-partite Iva e autonomista, considerato la "ricetta unica" vincente in Veneto. Un po' perché è già il Pdl a svolgere questa consolatoria funzione moderatrice dell'onnivoro leghismo, e un po' perché la puzza sotto il naso, vecchia pulsione sinistrorsa, è sempre in agguato. Si veda l'alzata di scudi sul caso della mensa scolastica di Montecchio, solo per restare all'ultimo scorcio di campagna elettorale. Ma è soprattutto nel profondo dell'opinione pubblica popolare, quella che vuole il federalismo fiscale, che il Pd non attecchisce neanche se andasse a Lourdes: perché, per quanto si sbracci a parlare a favore dei padroncini, un pur quasi destrorso Bortolussi avendo il marchio di sinistra ne patirà l'eredità tassaiola e punitiva sedimentata a furia di Prodi, Visco e compagnia brutta. L'appiattimento sul "giustizialismo" di Di Pietro, Travaglio, Santoro e Luttazzi (en passant: geniale, l'altra sera ha fatto più opposizione lui al berlusconismo in quindici minuti che la sinistra in quindici anni) imputato al Pd non c'entra niente con la sua clamorosa, ennesima sconfitta. Semmai il contrario: è il voler essere come il centrodestra a far apparire il centrosinistra una sua copia falsa e falsificata, perciò invotabile.
In conclusione, prepariamoci ad un'era colorata di verde Padania. Una tinta che però, per una volta hanno ragione gli editorialisti togati, non ha più alibi nel produrre i fatti che promette, ossia il federalismo. Altrimenti nessun figlio di Bossi potrà convincerci che la Lega non sia un partito a caccia di potere come tutti gli altri, e che per il potere usa il federalismo non attuandolo mai per continuare ad alzare la posta e ingrassarsi all'infinito.
Alessio Mannino
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