Jackson: «In piazza per porre il problema delle servitù militari». E attacca Gervasutti
Martedi 11 Settembre 2012 alle 17:16 | 0 commenti
«Una nuova base militare, laddove ci sono cunicoli e gallerie che, per decenni, hanno ospitato ordigni nucleari. Un'installazione misteriosa, circondata da 350 metri di muro in cemento armato alto sei metri. Un centro d'addestramento costruito sui pendii dove, oggi, ci sono i boschi dei colli berici. È il nuovo progetto militare statunitense. È il futuro di Site Pluto secondo i generali a stelle e strisce, alla disperata ricerca di spazi dove addestrare alla guerra i propri soldati».
Con queste parole pubblicate oggi sul proprio portale gli attivisti del No Dal Molin hanno annunciato una fiaccolata per dopodomani alle 20.30 in piazza Castello. «L'obiettivo? Manifestare contro l'ennesimo atto di militarizzazione del nostro territorio» spiega Olol Jackson, supporter storico del gruppo che aggiunge: «In questi mesi abbiamo dichiarato la nostra soddisfazione dopo che la città avrà il suo parco della Pace. Ma essere contenti non significa essere appagati. Noi non abbiamo le fette di salame sugli occhi. Il problema delle servitù militari sta ancora lì».
Quale è lo spirito che anima la vostra iniziativa?
«Indipendentemente da come ognuno la pensa per noi è prioritario aprire, o meglio riaprire, uno spazio pubblico di discussione sulla questione delle servitù militari perché altrimenti la matrice dell'intera vicenda rimane indeterminata».
L'affaire Dal Molin prima e l'affaire Pluto poi sono rogne principalmente amministrative o c'è una questione internazionale che va discussa in parallelo? È una questione che riguarda anche i termini della partecipazione dell'Italia alla Nato?
«È chiaro che l'occupazione nonché lo spreco di territorio, vadano di pari passo con la scelta di tutti i governi di acconsentire, sempre o quasi, alle richieste dei militari Usa. Ma sarebbe bene domandarsi se questa accondiscendenza sia sempre frutto di un atteggiamento inscalfibile da parte delle amministrazioni statunitensi o se la cosa avviene perché a Roma qualcuno permette tutto ciò».
Voi in più occasioni avete ribadito la necessità di ridiscutere a fondo, magari confrontando opinioni diverse, la questione delle servitù militari. A Vicenza come in Italia. Ma quali sono le forze politiche e i gruppi sociali con i quali nel breve futuro si potrà intavolare un dibattito approfondito e articolato?
«Questa è una bella domanda. Purtroppo noi non abbiamo la sfera di cristallo. Noi comunque non ci sottraiamo al confronto e rimaniamo sempre disponibili ad argomentare le nostre convinzioni».
Vicenza da anni è sede di molte installazioni militari di grande importanza. Moltissime sono quelle che fanno riferimento a stati o organizzazioni straniere o comunque transnazionali. Quali sono i motivi di una scelta ricaduta tante volte sulla terra berica? È possibile che qualcuno prenda in considerazione una eventuale arrendevolezza della popolazione locale?
«Se questo ragionamento lo fa qualcuno questi sono gli uomini del nostro governo. Che credono così di evitare critiche o contestazioni. Gli americani più prosaicamente scelgono siti strategicamente interessanti e con un corredo di servizi e infrastrutture locali considerati soddisfacenti anche dalla truppa, che se in un'ora può andare al mare o in montagna certo non disdegna».
Domenica scorsa Ario Gervasutti, direttore del GdV, ha fatto un riferimento indiretto ma evidente alle vostre recenti azioni dimostrative ed ha espresso giudizi molto secchi nei confronti del vostro mondo dicendo che a dettare la linea sono sempre i soliti «quattro gatti che parlano con i petardi, la vernice, le cesoie, i passamontagna, le minacce, l'insulto e la violenza». Come l'avete presa?
«Il signor Gervasutti evidentemente ha perso il conto di quanto è accaduto in città negli ultimi anni. Ed ha perduto il conto di quante persone, migliaia di persone, sono andate in piazza sempre per la questione Ederle bis. Questo dimostra che è un quaquaraqua».
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