A chi serve la pedemontana?
Giovedi 10 Novembre 2011 alle 09:34 | 0 commenti
Di Irene Rui e Guido Zentile
Oggi sarà dato il via al cantiere della Pedemontana, un tracciato lungo 94 km, di cui 43 in trincea, 36 in rilevato, 14 in galleria, e uno su viadotto. 94 km per 6 corsie con relative complanari e raccordi, 17 aree attorno ai caselli autostradali per un totale di 200 milioni di mq. sottratti alla pianificazione dei comuni e a rischio di cementificazione per poli logistici e commerciali. 94 km che devasteranno quel che resta della campagna della Valle Agno e del bassanese, che smantellerà aziende agricole e artigianali, oltre a zone residenziali; aziende costruite negli anni con il duro lavoro di imprenditori e famiglie, abitazioni costruite con i sacrifici di anni di immigrazione.
Un'autostrada che distruggerà un paesaggio e il suo delicatissimo ecosistema, basti pensare all'area de "Le Poscole" a Castelgomberto, basti pensare alle colline che saranno bucate. Una galleria a doppia canna di 7 chilometri trasformerà la Valle Agno in una camera a gas. Un'autostrada che si ruberà le nostre strade passerà infatti sulla Nuova Gasparona, un'opera pubblica regalata ai privati. Finanziata con il project financing, la concessionaria ne avrà comunque i benefici anche se il passaggio delle auto sarà inferiore a 24mila veicoli al giorno, poiché la Regione dovrà intervenire con propri, nostri danari con un contributo di circa 14 milioni di euro per 39 anni, fino al raggiungimento della soglia dei 40mila veicoli al giorno. I calcoli effettuati dimostrano che l'autostrada costerà circa 2,5 miliardi di euro, di cui un miliardo sarà pagato dalla Regione e il resto dai pedaggi. Il rischio per l'impresa è pari a zero e i cittadini sono condannati ad essere intossicati, a non poter usufruire di un servizio stradale libero (la Nuova Gasparona e la circonvallazione di Montecchio) e a pagare anche per un'autostrada che non vogliono. Un'opera che non è di pubblica utilità come si vuol far credere, poiché non serve ai cittadini ma al magazzino viaggiante, al just in time della delocalizzazione, ai costruttori, agli immobiliaristi. E' infatti, un'articolazione del corridoio V, un collegamento tra Vicenza e Treviso (parte da A4 Montecchio e arriva sulla A27 Treviso-Belluno) s'immette nel costruendo tratto A28 (Conegliano-Pordenone) e poi sulla Trieste-Udine o Gorizia per raggiungere la Mitteleuropa.
Il nostro territorio non ha bisogno di ulteriore cementificazione, con gravi dissesti idrogeologici che grazie al cambiamento climatico e all'incuria del territorio sono già in atto lungo la pedemontana. Non c'è il coraggio di pensare ad un modello di vita diverso, ad una mobilità diversa che incentivi il traffico sulla rete ferroviaria attuale, o anche su acqua, invece che su gomma; che eviti ulteriore consumo del territorio con strade, capannoni o costruzioni, e utilizzi e riutilizzi l'esistente. E invece si continua con la vecchia logica immobiliarista per incentivare il mercato dei costruttori, un processo i cui disastri ambientali sono sotto gli occhi di tutti: Vicenza ieri, Liguria oggi. Il nostro territorio è già sufficientemente ferito da costruzioni vuote ed abbandonate, capannoni edificati per ricevere incentivi, totem vuoti e lasciati all'incuria del tempo, da strade sotto utilizzate o non concluse, da cavalcavia lasciati sospesi in mezzo alla campagna.
Bisogna pensare un concetto di riorganizzazione industriale, basata sul chilometro zero, produrre e consumare ciò che è prodotto nel territorio; è un atto di coraggio, un piccolo passo indietro che ci aiuterebbe a preservare il territorio e ad uscire dalla crisi economica. Ci si trova invece con nuove arterie che saranno intasate domani da nuove lottizzazioni, per aver bisogno di altre arterie dopodomani, cemento su cemento e non più ciliege di Mason, o asparagi di Bassano. Strade e edifici, per incentivare l'economia dei costruttori a scapito di aziende agricole e artigianali che saranno costrette a chiudere e ad emigrare; famiglie e lavoratori lasciate per strada senza un reddito, lavoratori non più riciclabili nel mercato in crisi e ormai saturo. Un mercato in cui si è raggiunto - secondo i dati di "Veneto Lavoro"- un tasso di disoccupazione attorno al 9,8%. Occorre una diversa politica industriale non più improntata sul just in time di bassa qualità , ma sul recupero delle risorse ambientali e agricole, sulla filiera corta. Non si deve più permettere che aziende finanziate con fondi nazionali, regionali o europei svuotino gli edifici per delocalizzare la produzione all'estero e poi utilizzare le nostre strade e chiederne di nuove per reimportare la merce in pronta vendita come made in Italy, in sede. La Pedemontana è questo e fa parte di una vecchia politica industriale di 30anni fa, che comporta danni per l'ambiente, esuberi umani; che genera rifiuti materiali e umani, a favore del profitto di pochi imprenditori a scapito dei piccoli conto-terzisti. Una logica che sta scoppiando e incide nel territorio.
Irene Rui e Guido Zentile
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