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Davide Fiore su "Per Vicenza. 1945-2008"

Domenica 17 Gennaio 2010 alle 03:10

Davide Fiore 

Riceviamo e pubblichiamo lettera di Davide Fiore,Presidente SIPBC- Sez. reg. del Veneto, Conservatore Museo Diocesano di Vicenza

 

Davide Fiore, Conservatore Museo Diocesano di VicenzaInvio come "lettera aperta" e autografa*, la mia risposta alla prefazione dei fratelli Andrea e Tommaso Cevese al libro "Per Vicenza. 1945-2008" (Cierre edizioni) dedicato alla figura del prof. Renato Cevese, scomparso nell'autunno del 2009.

La lettera, necessariamente un po'corposa visto l'argomento trattato, è a disposizione di chiunque volesse contribuire ad un dibattito portato avanti con l'intelligenza e l'educazione dei Cevese e di tutti gli operatori per i Beni Culturali e la Cultura che popolano il territorio Veneto.

Grazie per la cortese disponibilità. Con l'augurio di un buon inizio d'anno.

Davide Fiore
Presidente SIPBC- Sez. Reg. del Veneto
Conservatore Museo Diocesano


*Gentili Andrea e Tommaso Cevese,

apprezzo la "lettera aperta" che avete pubblicato quale prefazione al volume dedicato al professor Renato Cevese, vostro padre, e che avete condiviso con i lettori. Questo metodo, che personalmente utilizzo è un modo per affidare alla "colomba della speranza" un messaggio destinato alla stampa e, di conseguenza, a chi vorrà farlo proprio.

Renato Cevese (foto ilgazzettino.it)Ricordo come sin da bambino fosse palese all'occhio la millenaria esperienza territoriale del Veneto, con le sue città storiche e i suoi borghi, con le campagne educate fino ai luoghi alpini più dispersi, e come i miei educatori mi portassero a ragionare sul recente passato, parlo degli anni '60 e '70 del 900, definendoli come carichi di errori architettonici e urbanistici, esempio con cui le nuove generazioni avrebbero dovuto confrontarsi.

Una lettura più attenta mi portò a ricercare il perché di un'armonia quasi magica ancora confrontabile con la pittura del Rinascimento locale, scoprendo un "valore materico" composto di materiali coi quali per secoli si è edificato attingendo dal territorio le stesse necessità del costruire, con la capacità di invecchiare: pietre, ciottoli, mattoni in cotto, tegole, travi in legno, solai di paglia, malte e terre colorate, pietra calcarea, tutti elementi per l'edilizia che stabilivano un legame tra le architetture universali di Andrea Palladio e le case per contadini nelle più disperse campagne. Nei materiali c'era una stessa origine, anche quando cambiavano le dimensioni, le proporzioni, le finiture e l'importanza degli edifici.

Il tipo di società che funzionava nel ‘500 era già mutato nel ‘700 per franare definitivamente nell'800 quando i cambiamenti economici e demografici portarono ai necessari ripensamenti del modo di vivere il territorio. La cesura vera e propria tra il passato e il futuro dell'Italia si avrà nel secondo dopoguerra, con il decollo industriale e la costruzione delle necessarie infrastrutture. Gli anni '80 del 900, con le conversioni industriali e l'avanzare dei problemi ambientali hanno visto l'Europa impegnata nella ricerca di una crescita compatibile con l'utilizzo del medio ambiente, per evitare un costo energetico e infrastrutturale esagerato. Con l'aumentata ricchezza economica, l'accessibilità all'istruzione e ai mezzi di informazione, il Veneto è andato in controtendenza rispetto agli altri, divenendo uno dei peggiori disastri urbanistici d'Europa, sostenuto da continue leggi e regolamenti pensati per dare potere ai singoli amministratori, lasciati liberi di ragionare sull'urbanistica del loro comune attraverso decisioni talvolta personalistiche, talvolta prive di nessi logici definiti. Il disastro urbanistico veneto è paragonabile in Italia, ma con dimensioni assai più vaste, a quella che fu conca d'oro fuori Palermo, che sorge alle pendici di Monreale. La più difficile tra le scienze, l'urbanistica, va governata tenendo conto d'innumerevoli fattori come la pianificazione, la zonizzazione, la giusta distribuzione delle risorse e l'impatto sulle infrastrutture (per essere urbanisti capaci sono necessari notevoli anni di preparazione unitamente alla conoscenza del territorio, della sua morfologia oltre ad un talento personale). Questa scienza antica sopravvive in una vergognosa assenza nella nostra regione, comportando un aumento degli sprechi e dei costi che poi la società paga, una difficile gestione delle emergenze ambientali e il conseguente abbassamento della sicurezza delle persone e danni sociali come stress e disagio psicologico diffuso, che si tramuta in una riduzione drastica della qualità di vita.

Questa lunga premessa, signori Cevese, per alcuni nuova e per altri forse scontata, vuole avvalorare le vostre osservazioni per cui l'emergenza dei beni Culturali oggi, non si trova ad operare con il palazzinaro o con il furbetto che vede nella tettoia in più l'aumento della sua presunta ricchezza in attesa di un primo condono. A essere distrutto oggi è il paesaggio che vive in una perenne "resistenza", dove chi restaura un edificio storico vive nel terrore di non trovarsi come vicino di casa un centro commerciale o, come è avvenuto per Villa Loschi Zileri Motterle di Monteviale, un distributore di benzina inutile nel pieno di una prospettiva secolare. Gli unici privilegiati sono i residenti dei centri storici che si trovano in luoghi sempre più riqualificati grazie anche all'intervento delle soprintendenze che hanno un parere competente sull'antico e questo aumenta di continuo il divario qualitativo tra centro e periferia. Il problema concreto resta lo "sfrangiamento" delle città che ha reso i centri italiani un ammassamento di edifici che avanzano per piccoli lotti come in una favela di lusso. Il risultato della necessità di colmare tutti gli spazi vuoti di un territorio lo si ha dalle alture o meglio ancora, atterrando all'aeroporto di Venezia o di Verona, dove si plana in una megalopoli impazzita di dimensioni sterminate che, ahimè, non rende onore al presunto orgoglio territoriale dei suoi abitanti.

L'altro nemico da richiamare per la difesa del territorio è l'indifferenza, quella stesso descritta da Moravia, che da noi diventa il "faccio finta di non vedere" per pensare a un benessere pagato a caro prezzo. Quale benessere? Grazie all'indifferenza molti centri turistici hanno trascurato o peggio distrutto la loro tipicità e ora piangono sul latte versato. La Recoaro storica è stata demolita o mal restaurata perdendo la sua attrattiva, così come l'altopiano di Asiago o il lago di Garda con il proliferare di casupole e scatoloni industriali stanno rovinando da sole il proprio futuro. Prima del Veneto la Liguria descritta anche da Italo Calvino ne "La speculazione edilizia"ha pagato pesantemente l'incapacità di coniugare crescita con compatibilità paesaggistica, riducendo quel potenziale turistico diffuso che invece ha mantenuto la Costa Azzurra.
Ospiti storici come i francesi, gli austriaci e tedeschi o gli inglesi che non sono parte del nostro autocompiacimento, gli occhi per guardare li hanno e restano inorriditi della cattiveria con cui la campagna è ingoiata dall'iniziativa singola, cosa che potranno testimoniare tutti gli operatori di questo settore. Una volta che l'operazione sarà definitivamente completata non serviranno recuperi, passanti stradali o promozioni, perché l'intelligenza diffusa di un paesaggio antropizzato la fanno i singoli cittadini.

Quello che fino a pochi anni fa era considerato un palese sfregio paesaggistico, parlo dei due pessimi condomini che danno il benvenuto dalla colline che guardano l'autostrada a Vicenza ovest, sono ad oggi la prassi diffusa e replicata in molti edifici anche privati, pur ingentiliti da mattoncini e tonalità variopinte. Ancora, negli ultimi 10 anni, alcune persone vivono una forma di asfissia da anonimato, dipingendo il proprio edificio con colori chimici fluorescenti o troppo deboli per essere il colore della nostra tradizione storica. Mi sono confrontato negli anni con alcuni costruttori o progettisti riguardo la necessità di attirare l'attenzione su qualcosa che già è brutto e la risposta è stata "il proprietario voleva così e poi è architettura moderna". Quello di parlare di "modernità"o meglio "contemporaneo", rispetto un edificio costruito oggi, è un mal costume che nasconde le bizzarre scelte personali e la necessità di differenziarsi per "essere migliori"a spese del paesaggio. Anche l'architettura vive la sindrome televisiva del "chi urla di più è più bravo" e le imprese di costruzione appiccicano timpani e frontoni in cemento su tutti gli edifici dando l'illusione ai futuri inquilini che la loro casetta possa concorrere con le celebri ville storiche e senza puntare su un progetto innovativo.

Le future politiche sul paesaggio dovranno fare i conti con l'istruzione, educando le persone ad una moderazione che va a vantaggio della collettività. Ciò che sta fuori dalle nostre case è di tutti, pertanto gli strumenti edilizi e urbanistici, o gli uffici d'ornato dei comuni, dovrebbero mettere un freno agli esibizionismi privati che altro non fanno che rafforzare il livello deficitario di un sistema che non funziona. Un paesaggio delicato come quello veneto ha prima di tutto bisogno di conoscitori di estetica, paesaggisti o scenografi capaci di mettere in comunicazione il nuovo, anche straordinariamente contemporaneo, con le preesistenze e il paesaggio, puntando su alcuni elementi necessari ad armonizzare le singole parti come la cura del verde o le cromie. L'educazione alla bellezza va fatta conoscere come materia base per le scuole, invitando le persone a leggere i segnali del territorio e a comprendere come una partecipazione sociale a queste tematiche ci migliora come persone e riduce il disagio sociale, anche se ci sono le industrie, anche se ci sono le autostrade. E il tutto serve poi a difendere la nostra ricchezza culturale e a garantire un'educazione basilare al gusto e al bello, a diretto vantaggio dei singoli.

Per concludere, la figura appassionata dell'eroe che voi descrivete in riferimento al professor Cevese, rientra già nel temperamento degli uomini e delle donne che in ogni epoca hanno cercato il valore aggiunto alle loro iniziative, con il pensiero sempre rivolto al plurale, alla comunità e umilmente disponibili a chiedere ad altri specialisti delle diverse discipline di farsi consigliare. Di esempi ce ne sarebbero tanti, come il caso di Alessandro Rossi di Schio e il suo architetto Antonio Caregaro Negrin, che fecero della modernità un'opera d'arte o l'imprenditore Olivetti con la sua azienda modello di Ivrea, esempio di come un cittadino possa intervenire sul territorio apportando uno sviluppo compatibile con la sua epoca.
Ben vengano strade più veloci o efficienti se servono realmente, ma almeno si abbia ben chiaro che il resto della Comunità Europea fa di tutto per rendere queste infrastrutture silenziose e discrete contrariamente alla selva di viadotti e di tralicci dell'alta tensione che incuranti della serenità e della salute delle persone passano sopra le campagne italiane imponendo la loro presenza. Pertanto, e concludo davvero, la complessità sociale è a tal punto aumentata che se associazioni, soprintendenze, amministrazioni, scuole e atenei ma soprattutto i privati cittadini con le amministrazioni non riterranno un valore imprescindibile dall'interesse economico la tutela del paesaggio, non basteranno i singoli eroi, per quanto carismatici, a mantenere alto il livello di guardia per la prevenzione, l'azione e il recupero dei luoghi e garantire a chi rispetta la propria cultura di non essere sopraffatto degli indifferenti privi di una coscienza sociale.


Davide Fiore
Presidente SIPBC- Sez. reg. del Veneto
Conservatore Museo Diocesano di Vicenza

 

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Categorie: Musica, Musei

Appello a Mina da Davide Fiore, conservatore del Museo Diocesano, e da Thiene: canti per noi la Nina

Mercoledi 23 Dicembre 2009 alle 06:00

Riceviamo e pubblichiamo da Davide Fiore, Conservatore Museo Diocesano di Vicenza


Mina (Foro Mina Fan Club)Gentile Redazione,

 con l'occasione delle festività, ho voluto inviare una "letterina di Natale"(riportata in fondo*) carica di sogni, non a Santa Klaus (per raggiunti limiti d'età), ma ad una tra le più grandi artiste italiane, portatrice di messaggi in musica riconoscibili e forti nel loro potere artistico.
Parlo di Mina Mazzini, donna di spettacolo completa, artista capace di disegnare da molti anni la canzone italiana, riconfermandone l'eccellenza e la capacità di raggiungere il grande pubblico.

Il mio desiderio da alcuni anni, è di far conoscere all'artista una tradizione antica di almeno sei secoli che precede la Natività dei thienesi, un canto che si tramanda nelle generazioni, che ogni 24 dicembre rivive per la strada in un momento di amicizia tra le persone, prima della mezzanotte.

La Nina è un canto di cui si conoscono poco le origini, lontano dal clamore mediatico ma saldo nella festività popolare. La sua nenia semplice e fatta di sola voce femminile e coro, è immaginabile cantata da Mina, infaticabile artista di questi anni, che avrà modo, questa è la mia speranza, di ascoltare il canto vicentino.

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Un ricordo vicentino di Mike Bongiorno

Mercoledi 9 Settembre 2009 alle 18:31

Lo studio del programma tv 'Il Migliore'di Davide Fiore* 

Nel gennaio del 2007 mi chiamò la redazione di Mike Bongiorno, a Mediaset, dove mi veniva chiesta la disponibilità di partecipare al programma "Il Migliore", dove differenti categorie di persone si sfidavano ad un classico telequiz, con domande che andavano dalla cultura generale ad argomenti via via più specifici per decretare, infine il vincitore della puntata.
Ammetto la mia titubanza di parteciparvi, prima di tutto perché forse non avevo mai visto in televisione un Quiz, inoltre perché sono da sempre stato scettico sulla veridicità dei programmi televisivi, conoscendo quel settore grazie a numerose esperienze lavorative negli anni.
Con il mio carattere di curioso, tuttavia pensai che provare il brivido del telequiz addirittura con il "papà" dei quiz italiani forse sarebbe stata un'esperienza da ricordare.

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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