Zaia è pronto ad andare fino in fondo. Salvini: «Tosi non rispetta la Lega»
Martedi 24 Febbraio 2015 alle 12:07 | 0 commenti
Scissione 2.0. Diciassette anni dopo la diaspora di Fabrizio Comencini e dei suoi «lighisti», nel Carroccio va in scena in questi giorni il bis dell’unica secessione mai riuscita finora al partito della (fu) Padania: quella da se stesso. Con una sola differenza, dettata dai tempi: più che sulle pagine dei giornali, dove pure Matteo Salvini e Flavio Tosi se le stanno suonando di santa ragione, la resa dei conti tra le avanguardie dei due schieramenti si sta consumando sui social network, un post ed un tweet dietro l’altro, tra condivisioni menate come clave («Né Roma né Milano! Le liste per le Regionali le decidono i veneti») e hashtag roteati come mazze («Dopo Zaia solo Zaia»).
Ai like , i commenti, i retweet c’è poco altro da aggiungere: «La spaccatura è già avvenuta ed è irreversibile» scuote amaro la testa un colonnello che respira Lega dai primi anni Novanta. Le analogie con il 1998 sono moltissime e parecchio suggestive. Ora come allora il protagonista è un veronese, vicino al mondo della destra, divenuto via via potentissimo fino a ricoprire il ruolo strategico di segretario nathional : all’epoca Comencini, oggi Tosi. Ora come allora lo scisma si realizza nel momento di massimo splendore per il partito: nel 1996 il Senatur s’inventa la Padania, corre da solo contro Berlusconi e conquista il 10,6%; nel 2015 Salvini punta sul Sud, corre da solo contro Berlusconi (certe cose non cambiano mai) e i sondaggi lo danno addirittura al 14%. Ora come allora «la congiura», come la chiamano gli uomini vicini al governatore Luca Zaia, si consuma in Regione: Comencini portò con sé 6 consiglieri su 7 (erano tutti segretari provinciali, l’unico a resistergli fu Gianpaolo Gobbo che poi Bossi ricompensò facendone il rais del Veneto), Tosi ha dalla sua 4 assessori su 6 e una nutrita pattuglia a Palazzo Ferro Fini, che conta di rafforzare grazie alle imminenti elezioni un po’ con la lista della Lega e un po’ con la civica che vorrebbe portasse il suo nome. Ora come allora c’è chi immaginava di andare «oltre la Lega», puntando sulla disgregazione del quadro politico e dei partiti. E ora come allora la scissione, maturata tra vendette personali e rivalse fratricide, si coagula attorno al principio «il Veneto non prende ordini dai lombardi»: Comencini rivendicava il diritto di marciare al fianco di Galan nonostante Bossi avesse strappato con Berlusconi, Tosi pretende il rispetto dello statuto, secondo il quale le liste e le alleanze per le Regionali sono di competenza esclusiva del consiglio nathional (ma si sa quanto contino nel Carroccio, da sempre, «le scartoffie che non interessano a nessuno», copyright un leghista trevigiano). Vista com’è finita l’esperienza di Comencini, la storia sembra sconsigliare a Tosi di andare oltre. Ma come può tornare indietro? Attorno a questa domanda ruota l’intera giostra dei cavalli di razza leghisti. Chi conosce Salvini assicura che, per come si sono messe le cose, l’unica ricomposizione possibile sta nella resa incondizionata del sindaco di Verona: deve cedere sulla lista della Lega (ultima parola a via Bellerio e a Zaia), sulla sua lista (non se ne parla) e forse anche sul limite di due mandati (che falcidierebbe i suoi). Non sono previsti punti di mediazione e le bordate partite ieri dai microfoni di Radio Padania dalla viva voce del segretario federale sembrano confermarlo: «Quando Tosi dice che non sa se verrà alla manifestazione di Roma, girano le palle non a Matteo Salvini ma al segretario della Lega Nord. Non è possibile, è una mancanza di rispetto che non posso lasciar passare, perché quando ci sono militanti che ci rimettono del loro non è concepibile che un dirigente della Lega o un eletto dica che non sa se viene. Ipotizzare di candidarsi contro Zaia o di metterlo in difficoltà , poi, non mi sembra utile in questo momento. Chi lo fa dice una sciocchezza e fa soltanto un favore alla sinistra». A proposito di Zaia: il governatore, per una precisa strategia, si è imposto da tempo una granitica regola del silenzio. Difficile decifrarne i pensieri mentre gli «uomini del Presidente» si dicono certi che Tosi, «dopo aver aperto in un anno più fronti di quanti possa gestirne, finirà per schiantarsi da solo, vittima della sua ambizione e della sua sete di potere. E’ come lo squalo nella rete, più si dimena e più si aggroviglia». L’intervista alla Stampa , dove il sindaco ha ipotizzato la candidatura a governatore e tentennato sulla manifestazione contro Renzi nella capitale, viene considerata dai suoi storici nemici «il punto di non ritorno»: «Chi potrebbe credere domani alla sincerità di un accordo? Quale patto potrebbe reggere dopo quel che è successo?». Una cosa è certa: Zaia non cederà mai sulle liste ed è facile intuire perché: con la riduzione dei consiglieri, che dalla prossima legislatura scenderanno da 60 a 50, la maggioranza di qui in avanti sarà risicatissima, appena 7 consiglieri. Il governatore non vuole e non può permettersi fronde, specie se, come dicono i luogotenenti di Salvini, Tosi perderà il congresso «nazionale» in agenda proprio quest’anno. Serpeggia il terrore di una guerriglia permanente mentre i «tosiani» smentiscono ogni proposito bellicoso e parlano di «pretesti e calunnie per cacciare Flavio dopo anni di tradimenti e noi con lui». Un logoramento suicida, a tre mesi dalle elezioni. Figuriamoci dopo. Anche per questo in via Bellerio ha cominciato a circolare con insistenza, sussurrata, la parola tabù: commissariamento.
di Marco Bonet da Corriere del Veneto
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