Ville palladiane, Ciambetti: una tassa iniqua sulla nostra storia
Domenica 1 Novembre 2015 alle 21:19 | 0 commenti
Riceviamo da Roberto Ciambetti e pubblichiamo
Cercando nell’Archivio dei comunicati stampa del Ministero dei Beni culturali,  leggo di un incontro tenutosi a Lucca nell’ottobre 2005 segnato da “Approfondimenti culturali si, ma anche riflessioni molto pratiche su come riuscire a ‘mantenere’, e possibilmente a mantenere vivo, quell’immenso patrimonio italiano rappresentato dalle decine di migliaia di ville, castelli e dimore storicheâ€.Alla luce delle recenti polemiche sulla detassazione originariamente prevista per ville e castelli e poi reintrodotta nella Legge di Stabilità 2016 quella citazione iniziale torna di estrema attualità ponendo l’accento sul nodo del patrimonio artistico, la sua salvaguardia e manutenzione, opere che non si fanno, di certo, con la demagogia ma con una cosciente politica anche nel campo fiscale.
Le Ville palladiane in Veneto nel Rinascimento, ricollegandosi all’antica villa romana, dettero l’avvio ad un modello con il quale grandi architetti si sono cimentati, sulla scia di Lord Burlinghton, nelle campagne inglesi fino alla villa di Monticello negli Usa progettato dal presidente Thomas Jefferson nella seconda metà del ‘700 per arrivare alle invenzioni di Le Corbusier e di Frank Lloyd Wright. Non è casuale, poi, se ogni ripresa del modello della villa sia affiancato da  una singolare quanto sofisticata letteratura che esalta la vita in Villa, da Orazio a Boccaccio, da Poliziano ad Alberti, Shaftesbury fino a giungere al Goethe delle Affinita' elettive. Lo stesso Goethe che a Vicenza ebbe modo di ammirare Villa Capra Valmarana, “La Rotonda†ma anche di visitare Villa Valmarana “ai Nani†con gli affreschi dei Tiepolo, lungo un itinerario che un paio di secoli più tardi spingerà   Albert Camus a chiedersi “Che cosa mi faceva rivivere nella mia anima, e senza occhi per vedere Vicenza, senza mani per toccare l'uva di Vicenza, senza pelle per sentire la carezza della notte sulla strada dal monte Berico alla villa Valmarana�
Villa luogo dell’ozio, ma anche della produzione agricola, quasi a voler rappresentare la dedizione al lavoro che in Veneto non si dimentica, nemmeno nel momento del riposo.  Per questo diciamo che la Villa veneta non è solo un modello di urbanizzazione o geniale creazione artistica, ma è una sintesi di storia, arte, architettura, letteratura, economia e anche della produzione agricola di qualità .
Buona parte di questo patrimonio in Veneto è privato e anche solo mantenerlo costa ai proprietari una fortuna, visto che ogni manutenzione deve essere autorizzata dalla Sovraintendenza, elaborata da un professionista, eseguita da maestranze specializzate con uso di materiali scelti. Non è un caso se molte ville languono in condizioni di abbandono se non fatiscenza: su tutte lo scandaloso stato del Villino Forni Cerato, opera del Palladio probabilmente eseguita dal Vittoria. Non è l’unica.
Detassare non il reddito eventuale che la villa produce, ma la villa come edificio è una necessità come sarebbe necessario prevedere o l’abbattimento dell’Iva per opere e materiali destinati alla manutenzione o, ancor meglio, la deducibilità delle spese sostenute per la conservazione. Stiamo parlando di opere d’arte su cui gravano vincoli. Lo stato italiano da queste agevolazioni non perderebbe poi molto, probabilmente costerebbero meno del leasing di un lussuoso Airbus per le trasferte intercontinentali senza scalo del Presidente del Consiglio. Ne guadagnerebbe invece la nostra comunità . I proprietari delle ville non investono per attrarre turisti, ma per difendere un bene e consegnarlo alle generazioni future. Quel bene si chiama cultura. A questo punto, ha  senso imporre tasse inique sull’arte e la nostra storia?
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