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Vicenza-Montebelluna-Bari. L'intesa è tra banche popolari "non quotate"
Lunedi 16 Marzo 2015 alle 22:07 | 0 commenti
Dopo le dichiarazioni di Zonin e Favotto su una possibile fusione Bpvi-VB, ci sono indiscrezioni secondo cui l'accordo verrebbe esteso anche alla Popolare di Bari. Nascerebbe gruppo da 90 miliardi di attivi
Avanti tutta verso il Polo delle “non quotateâ€. Sarebbe questa, secondo indiscrezioni, la linea scelta dal management di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ora che il decreto banche sta tirando dritto verso il sì del Senato e la definitiva conversione in legge.
Non solo un’integrazione tra venete, peraltro ipotizzata esplicitamente dalle pagine del Sole24Ore dai presidenti Gianni Zonin e Francesco Favotto. Ma anche un’estensione dell’alleanza all’altra illustre “non quotataâ€, che sarà tuttavia colpita dal decreto del governo che impone la trasformazione in spa: la Popolare di Bari. Per ora si tratta di una “suggestione†nel senso che i passi da compiere prima di concretizzare l’idea sono molti, a cominciare con le assemblee che saranno chiamate a votare i bilanci 2014. Ma nel giro di qualche settimana e comunque entro l’estate la partita dovrebbe entrare nel vivo.
Per ora di ufficiale ci sono le “mosse†preliminari: il cda di Vicenza ha conferito al dg Samuele Sorato il mandato per scegliere un advisor che assista il gruppo in vista di possibili aggregazioni, mentre Veneto Banca ha comunicato ieri di aver assegnato questo stesso incarico (assistenza per operazioni strategiche) a Rothschild. Ma al di là di quello che sarà il lavoro dei consulenti, i vertici delle due banche hanno le idee chiare: se da un lato le Popolari quotate (forse guidate dal Banco di Pier Francesco Saviotti) vanno verso un’aggregazione a più teste che crei un Super-Banco capace di insidiare come terzo istituto di credito nazionale i giganti Intesa e Unicredit, dall’altro le “non quotate†non possono stare ferme e devono fare altrettanto. Creare cioè un istituto più forte possibile, preservando però la propria diversità .
Qualora l’operazione riuscisse, si verrebbe a creare un gruppo da 90 miliardi di attivi, 14mila addetti, 1.500 sportelli. Al netto delle razionalizzazioni che a quel punto saranno compiute dal management. Perché a bocce ferme Bpvi ha attivi per 44 miliardi, 640 sportelli e 5.400 addetti. Montebelluna la insegue con 36 miliardi di attivi, 590 sportelli e 6.200 addetti. Più piccola è invece Bari che ha 10 miliardi di attivi, 250 sportelli e 2.200 addetti. La Popolare di Bari negli ultimi anni ha superato senza colpo ferire le ispezioni di Bankitalia, che hanno imposto una revisione degli attivi (cosa accaduta a tutte le banche italiane per colpa della crisi, e del conseguente deteriorarsi della qualità del credito) ma senza che i controllori riscontrassero irregolarità . Bari tuttavia non è ancora finita sotto la vigilanza diretta della Bce (che interessa le banche con attivi superiori ai 30 miliardi), ma rientra nel decreto del governo che impone la trasformazione in spa (norma che va a colpire tutte le banche con attivi superiori agli 8 miliardi). Al netto del prossimo risiko tra popolari quotate, il gruppo nato dalla fusione Vicenza-Montebelluna-Bari sarebbe la terza popolare più grande d’Italia dietro al Banco di Verona e all’Ubi di Brescia.
La logica dell’operazione è oramai chiara: salvaguardare il valore delle azioni che per Vicenza valogono 62,5 euro, per Veneto Banca 39,5 e per Bari 5 euro l’una. Perché è vero che nelle ultime settimane il Ftse Mib è salito parecchio, con benefici anche per il comparto bancario, ma tutti gli istituti italiani sono lontanissimi dai valori pre-crisi. Valori che invece non si sono deprezzati per le non quotate il cui prezzo viene votato in assemblea sulla base di una perizia, seguendo criteri fondati sulla redditività e sul lungo periodo. Se perciò le quotate sono state rafforzate dal decreto popolari, che ne aumenta la contendibilità e favorisce il ricambio della governance, per le “non quotate†la Borsa equivarrebbe oggi a un tuffo nell’acqua gelata. Una fusione tra non quotate consente di rinviare lo choc il più possibile: se nel frattempo il Pil va su come dice Confindustria, forse tra un paio d’anni la quotazione non deprimerà più di tanto il prezzo dei titoli. Questa è la scommessa. Resta da capire come il management delle banche gestirà le sovrapposizioni senza creare troppi esuberi, ma su questo fronte la fusione a tre cambia di poco il problema, posto che lo scoglio più ostico è unire Vicenza e Montebelluna, che hanno i quartieri generali a 50 chilometri l’una dall’altra.
Per ora di ufficiale ci sono le “mosse†preliminari: il cda di Vicenza ha conferito al dg Samuele Sorato il mandato per scegliere un advisor che assista il gruppo in vista di possibili aggregazioni, mentre Veneto Banca ha comunicato ieri di aver assegnato questo stesso incarico (assistenza per operazioni strategiche) a Rothschild. Ma al di là di quello che sarà il lavoro dei consulenti, i vertici delle due banche hanno le idee chiare: se da un lato le Popolari quotate (forse guidate dal Banco di Pier Francesco Saviotti) vanno verso un’aggregazione a più teste che crei un Super-Banco capace di insidiare come terzo istituto di credito nazionale i giganti Intesa e Unicredit, dall’altro le “non quotate†non possono stare ferme e devono fare altrettanto. Creare cioè un istituto più forte possibile, preservando però la propria diversità .
Qualora l’operazione riuscisse, si verrebbe a creare un gruppo da 90 miliardi di attivi, 14mila addetti, 1.500 sportelli. Al netto delle razionalizzazioni che a quel punto saranno compiute dal management. Perché a bocce ferme Bpvi ha attivi per 44 miliardi, 640 sportelli e 5.400 addetti. Montebelluna la insegue con 36 miliardi di attivi, 590 sportelli e 6.200 addetti. Più piccola è invece Bari che ha 10 miliardi di attivi, 250 sportelli e 2.200 addetti. La Popolare di Bari negli ultimi anni ha superato senza colpo ferire le ispezioni di Bankitalia, che hanno imposto una revisione degli attivi (cosa accaduta a tutte le banche italiane per colpa della crisi, e del conseguente deteriorarsi della qualità del credito) ma senza che i controllori riscontrassero irregolarità . Bari tuttavia non è ancora finita sotto la vigilanza diretta della Bce (che interessa le banche con attivi superiori ai 30 miliardi), ma rientra nel decreto del governo che impone la trasformazione in spa (norma che va a colpire tutte le banche con attivi superiori agli 8 miliardi). Al netto del prossimo risiko tra popolari quotate, il gruppo nato dalla fusione Vicenza-Montebelluna-Bari sarebbe la terza popolare più grande d’Italia dietro al Banco di Verona e all’Ubi di Brescia.
La logica dell’operazione è oramai chiara: salvaguardare il valore delle azioni che per Vicenza valogono 62,5 euro, per Veneto Banca 39,5 e per Bari 5 euro l’una. Perché è vero che nelle ultime settimane il Ftse Mib è salito parecchio, con benefici anche per il comparto bancario, ma tutti gli istituti italiani sono lontanissimi dai valori pre-crisi. Valori che invece non si sono deprezzati per le non quotate il cui prezzo viene votato in assemblea sulla base di una perizia, seguendo criteri fondati sulla redditività e sul lungo periodo. Se perciò le quotate sono state rafforzate dal decreto popolari, che ne aumenta la contendibilità e favorisce il ricambio della governance, per le “non quotate†la Borsa equivarrebbe oggi a un tuffo nell’acqua gelata. Una fusione tra non quotate consente di rinviare lo choc il più possibile: se nel frattempo il Pil va su come dice Confindustria, forse tra un paio d’anni la quotazione non deprimerà più di tanto il prezzo dei titoli. Questa è la scommessa. Resta da capire come il management delle banche gestirà le sovrapposizioni senza creare troppi esuberi, ma su questo fronte la fusione a tre cambia di poco il problema, posto che lo scoglio più ostico è unire Vicenza e Montebelluna, che hanno i quartieri generali a 50 chilometri l’una dall’altra.
di Davide Pyriochos da VeneziePost.it
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