Vicenza commemori vittime rappresaglia del colonnello vicentino Pier Elenoro Negri
Sabato 13 Agosto 2011 alle 23:00 | 0 commenti
Di Roberto Ciambetti
Vicenza commemori le vittime della rappresaglia del colonnello vicentino del 14 agosto 1861.150 anni dopo si ricordino i 400 morti di Pontelandolfo.
Via il nome di Pier Elenoro Negri dalla scuola di Campedello e dalla via dei Ferrovieri mentre in piazzetta Santo Stefano una lapide narri la vicenda della ferocia sabauda.
"Capisco che gli Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i Tedeschi in Italia; ma agli Italiani che, rimanendo Italiani, non vogliono unirsi a noi, non abbiamo diritto di dare archibugiate... perché contrari all'unità ".
Con queste parole il 2 agosto del 1861 Massimo D'Azeglio si rivolgeva al senatore Carlo Matteucci in una lettera, che precede di pochi giorni un fatto che sarebbe rimasto nel dimenticatoio se non fosse intervenuto il sindaco di Pontelandolfo, Cosimo Testa, il quale nell'ottobre del 2010 scrisse ad Achille Variati, sindaco di Vicenza, chiedendo di rimuovere la lapide che in piazzetta Santo Stefano celebra le eroiche virtù e gesta di tal Pier Eleonoro Negri, nato a San Bonifacio nel Veronese, ufficiale sabaudo di famiglia vicentina, responsabile di uno degli eccidi più efferati della storia italiana: due paesi messi a ferro e fuoco, uomini brutalmente assassinati, donne e ragazze stuprate prima d'essere fucilate assieme ai vecchi e bambini, case saccheggiate e date alle fiamme. "Giovedì 15 agosto 1861. Ieri all'alba, giustizia fu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano ancora" scrisse fiero di sé l'allora colonnello Pier Eleonoro Negri nel comunicare al generale Cialdini l'avvenuta rappresaglia da lui guidata con straordinaria ferocia, per vendicare la morte di quarantacinque, tra soldati e carabinieri, dopo uno scontro tra i filoborbonici del "brigante" Cosimo Giordano e le truppe piemontesi. In anni recenti l'eccidio di Pontelandolfo sarebbe stato definito un crimine contro l'umanità e chi lo guidò un boia degno di finire davanti la Corte di giustizia.
Difficile dire quante furono le vittime della rappresaglia guidata dal vicentino: di certo a Pontelandolfo rimasero in piedi solo tre case e si stimano in centinaia i pontelandolfesi finiti nelle fosse comuni. Carlo Margolfo, uno dei militari sabaudi protagonisti del massacro così ricostruì l'evento: "Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l'incendio al paese. Non si poteva stare d'intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava..." Drammatica anche la relazione fatta alla Camera, nella seduta del 2 dicembre 1862, da parte del deputato lombardo Giuseppe Ferrari di ritorno da un sopralluogo nel paese distrutto. Dopo aver ripercorso la vicenda, narrando anche l'episodio commovente di una ragazza assassinata perché "aveva voluto difendere il proprio onore", il parlamentare esplose rivolgendo al governo: "Intendo già la vostra voce -disse indignato Ferrari - l'inesorabile voce di tutti i burocrati italiani: Non si poteva fare diversamente". Si poteva fare ben diversamente e quella rappresaglia era evitabilissima, non necessaria, frutto di una scelta criminale in cui lo stato sabaudo mostrava il suo volto peggiore.
Dopo 150 anni forse è il caso per la città di Vicenza di fare un gesto di intelligenza, come quello chiesto dal sindaco di Pontelandolfo, e nella centralissima piazzetta Santo Stefano porre una lapide che riporti la testimonianza di Carlo Margolfo e che spieghi di quale eroismo si ammantò il colonnello Pier Eleonoro Negri e già che ci siamo intitolare la scuola elementare di Campedello, oggi dedicata all'eroico protagonista della rappresaglia, alla città di Pontelandolfo mutando anche il nome a una piccola strada del quartiere dei Ferrovieri: non si tratta di revisionismo, ma di impedire che cali l'oblio su quella che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo definirono una vicenda "che nessuno vuole ricordare".
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.