Veneto autonomo e garanzie di equità
Venerdi 2 Dicembre 2011 alle 11:52 | 0 commenti
Federico Caner, Capogruppo Lega Nord Consiglio Regionale del Veneto - Ho letto e condiviso in più punti il problema sollevato dal vicepresidente di Confindustria Antonio Costato rispetto all'equità negata al Veneto, e all'avversione da parte di Roma per le nostre richieste di autonomia. L'atteggiamento di questo governo, fin dalla proclamazione della lista dei ministri e quindi dei sottosegretari, cozza contro una realtà evidente nei fatti, che però vale la pena descrivere nelle sue accezioni quantitative.
Che il governo Monti non annoveri alcun veneto, ignorando chi contribuisce al PIL del Paese per il 9%, dovrebbe far riflettere. Ricordo, sempre riguardo al prodotto interno lordo, che il Veneto nel 2010 è cresciuto più di tutte le altre regioni, con un +2,8% a fronte di una media nazionale dell'1,3%, producendo un residuo fiscale di 3.405 euro pro-capite. Nonostante ciò, anche nel cuore del Nordest produttivo la morsa della disoccupazione si fa sentire in maniera forte, con un 5% di veneti che ha perso il posto ed un congruo numero di aziende anche di grandi dimensioni sull'orlo del fallimento.
Ragionando quindi sull'autonomia, soluzione davvero equa alla crisi per il motore produttivo d'Italia, è significativo comprendere come il Veneto riuscirebbe a garantirsi uno sviluppo importante anche, ad esempio, accollandosi una buona fetta di debito pubblico. Da uno studio su dati ufficiali di Plancia, strumento manageriale in uso al nostro Gruppo consiliare, emerge che se anche il Veneto si gravasse del 5,9% del debito nazionale, pari a 22.616 euro pro-capite (media ponderata tra criterio della responsabilità storica, demografia e capacità fiscale), il rapporto col Pil sarebbe del 74,8%. Meglio della Ue (82,3%), dell'area Euro (87,7%), della Francia (84,7%) e della Germania (82,4%). Analizzando poi la spesa pensionistica, che dal 1999 al 2009 ha inciso per il 30% sul debito italiano (558 miliardi), si nota come il Veneto, pur con la crisi dell'occupazione, ha accumulato in 11 anni un disavanzo di soli 13 miliardi e 530 milioni, pari al 9,6% del Pil, dandosi una copertura previdenziale del 91,1% (96% pre-crisi, contro Italia 78,2%, Sud 59,6%).
Il fatto che il Governo ci ignori è tanto più grave se si valuta l'enorme contributo del Veneto a quel "capitale sociale" che, nella sua prima definizione di Lyda Judson Hanifan, si costituisce nella coesione tra "la buona volontà , l'appartenenza a organizzazioni, la solidarietà e i rapporti tra individui e famiglie che compongono un'unità sociale". E proprio alla differenza di capitale sociale (definito come "senso civico" o "bene comune") è ascrivibile, secondo Robert Putnam e James Coleman, la diversità di crescita tra nord e sud degli Stati, e il gap di sviluppo economico nei territori.
Lo studio di Putnam, ripreso e sviluppato fino al 2008 dal prof. Fausto Pezzani (docente bocconiano), dimostra "la continuità nei secoli di questo differente orientamento tra Nord e Sud, che permane tutt'oggi perché le risposte date al problema si sono rivelate inefficaci e, paradossalmente, l'incremento degli aiuti finanziari ha finito per peggiorare la situazione". Non si tratta, quindi, di capitale economico, bensì di capitale sociale, visto che (cito ancora Pezzani, "La competizione collaborativa") "i trasferimenti pro-capite tendono ad aumentare [...] al Sud rispetto al Nord per effetto delle politiche di perequazione. Per contro aumentano le disuguaglianze nella distribuzione del reddito, le aree di povertà , l'inosservanza delle regole [...]. Si danno sempre più risorse ma queste non si traducono né in benefici sociali né in miglioramenti economici". E questo non può certo collimare con il principio di equità tanto evocato dal governo Monti.
Vista perciò l'assenza di proprie personalità nel nuovo Esecutivo, il Veneto può ambire a far sentire a Roma la propria richiesta di autonomia solo attraverso una forte azione di lobby, quella stessa che troppo spesso è mancata. Una "Lobby Veneto" tra industriali, artigiani, categorie produttive, sindacati, forze sociali, politica. Dimostrando che questa regione da 5 milioni di abitanti, 17 miliardi di residuo fiscale, 9% di PIL nazionale, un peso deve averlo, se non nell'organico dell'Esecutivo, almeno nelle prossime riforme.
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