Un popolo diventa servo quando perde la lingua dei suoi padri
Mercoledi 15 Dicembre 2010 alle 09:53 | 0 commenti
Roberto Ciambetti, Lega Nord - Max Weinreich, linguista disse di dovere a un suo allievo la felice osservazione per cui "una lingua è un dialetto con un esercito e una marina". Noi potremmo aggiungere, oltre a esercito e marina, anche polizia, magistrati, galere, agenzie delle imposte insomma ogni simbolo del potere coercitivo, che non a caso definisce la propria come lingua ufficiale. L'Italiano è la lingua ufficiale dello stato che convive con altri idiomi e parlate visto che praticamente ciascuna regione ha il proprio idioma in alcuni casi riconosciuto dalla legge, come lingua regionale o minoritaria.
Sardo, Francese, Tedesco, Albanese, Catalano, Croato, Franco-Provenzale, Friulano, Ladino, Occitano, Sloveno, Cimbro sono tutte lingue riconosciute, alle quali andrebbero affiancate le parlate regionali che in verità sono maggioritarie, dal Veneto alla Sicilia.
A guardare le inserzioni pubblicitarie prodotte dalla Rai per la regia di Alessandro D'Alatri questa coloratissima varietà di lingue e culture è canzonata, presa in giro, dileggiata messa alla berlina attraverso stereotipi fastidiosi quanti banali se non irritanti. "Ho celebrato con un sorriso quello che è sotto gli occhi di tutti" spiega il regista al Corriere della Sera: lo vada a dire a un friulano o a un tirolese o a un sardo; noi in veneto non abbiamo sorriso e non credo nemmeno in Molise o in Sicilia. In questi video con quella alterigia che spesso alberga nella classe dominante ci viene spiegato che "Se gli italiani fossero quelli di 150 anni fa, probabilmente comunicheremo ancora così..." appunto parlando in dialetto "Da allora - continua la voce fuori campo - abbiamo fatto un cammino molto importante. E la Rai è sempre stata con noi". Fin troppo facile ricordare che vi un tempo in cui le lingue regionali avevano spazio e dignità anche nella televisione pubblica italiana prima del monopolio dell'accento e della grammatica romanesca che ci perseguitano anche dalle trasmissioni della Tv pubblica digitale.
Autentici capolavori della cinematografia mondiale furono girati in lingua: "Ramunnu! Ramunnu! Aiûtati, ch'à fattu iornu.." è la battuta con cui s'apre lo straordinario "La Terra Trema" di Luchino Visconti perché, come ebbe a dire lo stesso regista, "la lingua italiana non è in Sicilia la lingua dei poveri". Sebbene recitato in bergamasco "L'Albero degli Zoccoli" di Ermanno Olmi vinse ugualmente a Cannes e Fellini sin dal titolo "Amarcord" narrò la sua Romagna. Non riesco a immaginare Massimo Troisi senza il suo napoletano e nemmeno Toto'; la musica, a sud di Mozart, ci dice che la coralità sarda è travolgente, coma la canzone napoletana al pari del reggae veneto dei Pitura freska e ci fermiamo, perché l'elenco sarebbe lunghissimo.
Senza scomodare il Porta, il Belli, Goldoni, Ruzante, Basile, guardiamo al Novecento che s'apre con Salvatore di Giacomo, continua con il milanese Tessa o il veneto Giacomo Noventa, gobettiano, volontario esule antifascista a Parigi, fino a Biagio Marin, Pier Paolo Pasolini, Franco Loi, Andrea Zanzotto o Ignazio Buttitta con i cui versi vorrei replicare infine a quei filmati pubblicitari televisivi che lasciano rabbia e amarezza e che mi auguro la Rai non trasmetta, sperando, tra l'altro, che nel moltiplicarsi di canali televisivi grazie alla rivoluzione digitale si possa trovare spazio anche per le parlate regionali, per le nostre lingue madri, che non sono la lingua né dei tribunali, né dell'esercito o dell'agenzia delle tasse o della Rai. Scriveva Buttitta in una delle sue più belle poesie, Lingua e Dialettu: "...Un populu/diventa poviru e servu/ quannu ci arrubbanu a lingua/addutata di patri:/ è persu pi sempri/ Diventa poviru e servu/ quannu i paroli non figghianu paroli/ e si mancianu tra d'iddi./ Mi nn'addugnu ora,/ mentri accordu la chitarra du dialettu/ ca perdi na corda lu jornu." (Un popolo/ diventa povero e servo/quando gli rubano la lingua/ ricevuta dai padri:/ è perso per sempre./ Diventa povero e servo/ quando le parole non figliano parole/ e si mangiano tra di loro./ Me ne accorgo ora,/ mentre accordo la chitarra del dialetto/ che perde una corda al giorno.)
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.