Sull'orlo del precipizio
Mercoledi 21 Settembre 2011 alle 18:20 | 0 commenti
Riceviamo da Roberto Ciambetti, assessore regionale della Lega Nord, e pubblichiamo.
Mentre la Grecia precipita nel baratro noi prendiamo il suo posto sull'orlo del precipizio: un po' ci siamo finiti spinti dai mercati finanziari ipertrofici (pesano otto volte il Pil mondiale) i quali anziché misurare la qualità dei sistemi economici incidono sui fondamentali delle economie reali, un po' ci hanno condotto le agenzie di rating, che fanno politica sostituendosi ai governi e decidendo loro quali nazioni devono finire tra le aree povere e chi invece può continuare nella strada del benessere, ma molto ci abbiamo messo del nostro, parlo del sistema Italia, perdendo anni su anni.
Con l'ingresso nell'Euro abbiamo rinunciato all'arma della svalutazione monetaria e per poter permetterci di mantenere il tenore di vita, che ha richiesto e richiede più risorse di quante ne produce il sistema Italia, ci siamo indebitati: ci sono nove regioni in deficit costante, Lazio e tutto il Mezzogiorno, e solo tre regioni (Lombardia, Veneto, Emilia) in surplus, cioè producono più di quanto non consumino. Nonostante il travaso, il rosso ha continuato a crescere e a fianco del debito sovrano è aumentato anche l'indebitamento delle Regioni ed enti locali e anche in questo caso con sperequazioni incredibili tra regione e regione: da sola la Regione Lazio,5,7 milioni di abitanti, ha un debito pari alla somma di Lombardia, Veneto, Emilia, Liguria e Piemonte, cioè circa 24 milioni di abitanti. Non sorprendiamoci se Standard & Poor's ci declassa.
L'unica strada percorribile per evitare che lo squilibrio dei conti degenerasse era il recupero di competitività attraverso la modernizzazione dello stato e della Pubblica amministrazione con il fine di liberare risorse. Non lo si è fatto ed ogni ipotesi riformista si è scontrata contro un incredibile blocco sociale, che ha fatto di tutto per impedire l'unica soluzione praticabile, la svolta federale: "Alle grandi istituzioni, ai partiti nazionali e ai sindacati il federalismo non è mai piaciuto" scriveva con fare profetico ancora nel luglio del 1998 Sergio Romano aggiungendo poi "la verità è che la classe politica nazionale sa perfettamente che l'autentica autonomia di alcune importanti regioni la priverebbe di gran parte della sua autorità ...Esiste una nomenklatura politica, amministrativa, economica, sindacale, per cui l'Italia deve restare ‘una e indivisibile'. Per coloro che ne fanno parte non è soltanto una patria: è anche un grande collegio elettorale, un serbatoio di voti, un datore di lavoro, la ragione sociale del loro mestiere".
Si capisce bene che una modernizzazione del Paese non sarebbe stata indolore, ma l'aver ritardato la cura ha portato ad una situazione ancor più grave e molto più dolorosa. Giusto nel dicembre dello scorso anno Mario Draghi ricordava uno scritto, anche in questo caso singolarmente profetico, di Carlo Cipolla, "I decenni del declino, 1620-1680", tratto dalla "Storia facile dell'economia italiana" dove si legge come "All'inizio del Seicento la ricchezza italiana era seconda solo all'Olanda. Tre generazioni più tardi l'Italia era un Paese sottosviluppato. Le cause: salari non coerenti con la produttività , un elevato carico fiscale e il potere delle corporazioni che bloccarono l'innovazione".
Il declino è arrivato e adesso siamo pronti a sostituire la Grecia sull'orlo del precipizio, davanti a noi l'amara realtà : sta a noi scegliere se rimanere in Europa o andare alla deriva e passare tra i paesi a basso indice di sviluppo e ancor più basso tenore di vita.
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