Sciarada democratica e suggestioni torinesi: Variati alla Chiamparino. E il Pd?
Mercoledi 29 Maggio 2013 alle 17:02 | 0 commenti
Che rapporto c'è tra l'affermazione del centrosinistra, quella del sindaco e quella del Pd alle municipali di domenica? Il sindaco di Vicenza Achille Variati esce come dominus incontrastato del risultato oppure l'affermazione di un Pd, comunque plasmato a immagine e somiglianza del sindaco, significherà che il partito, in questi anni tenuto in secondo piano, farà sentire il suo peso in sala Bernarda?
Già ieri Variati aveva perso il suo abituale aplomb, sfoggiando una ostentazione quasi inusuale per la curiale città del Palladio: «Io, mia, sono» erano state le parole chiave del suo discorso come a voler rimarcare il fatto di essere lui l'unico interlocutore autentico della città , che ha scelto in primis la sua persona. Oggi gli ha fatto in qualche modo eco il GdV con un corsivo in prima pagina di Antonio Di Lorenzo che vede una certa affinità tra il modello post industriale di Torino e la città improntata sulla cultura preconizzata da Achille Variati in campagna elettorale. Sempre il GdV continua lungo questo binario concettuale con un approfondimento a pagina sei in cui si dà molta enfasi al cosiddetto partito dei sindaci che mette in un'unica schiera Variati, Dal Lago e Tosi allorquando si sottolineano la forza e la novità delle liste collegate ai candidati alla carica di primo cittadino.
Ma a Vicenza il Pd si rassegnerà ad un ruolo di comprimario o gli undici consiglieri in sala Bernarda hanno già convinto il sindaco che sarà un soggetto da trattare alla pari? Sarà quel che sarà ma le dichiarazioni rese a Vicenzapiu.com dall'assessore Antonio Dalla Pozza sembrano infatti compensare la fuga «egoatrica» del primo cittadino. Dalla Pozza infatti rimarca che il suo risultato personale gli fa molto piacere ma «quello che conta è l’esito finale delle elezioni. In particolar modo il successo ottenuto dal Pd nonostante quanto accaduto e il calo dell’affluenza. Questa vittoria - evidenzia ancora l'assessore - è merito del Pd». Parole che sono in linea con quelle del consigliere democratico uscente Eugenio Capitanio, uno dei fedelissimi di Variati; consigliere che però a poche ore dalla chiusura delle urne con un fare un po' sardonico, riferendosi alla lista Variati aveva detto: «Forse credevano di superarci, ma non si sono accorti forse di quanto bene abbiamo lavorato». Sarà il futuro ovviamente a stabilire quanto il Pd sarà autonomo.
C'è però un punto da chiarire. Da un paio di giorni Variati ogni volta che parla dell'affermazione netta del partito al quale appartiene appare contratto. Evidente è il linguaggio del corpo: sguardo verso il basso, dita che grattano incessantemente il dorso delle mani e altro ancora. Ma da che cosa può venire questo eventuale imbarazzo? Senz'altro c'è un dato politico. Pur nella débâcle del centrodestra la lista della competitrice Manuela Dal Lago ha comunque fatto meglio del partito di origine, il Carroccio. A Variati questo non è successo. Inoltre c'è la questione dei rimborsi elettorali. Quelli per la lista Variati rimangono alla lista Variati. Quelli del Pd vanno a Roma e, forse, ritornano.
E ancora più dirimente è lo scenario regionale complessivo. Da mesi si vocifera di un Veneto in cui si fa sempre più strada un raggruppamento proteiforme che va da Variati a Tosi, sino a Lia Sartori e Galan. E che ha referenti di altissimo livello nella intellighenzia regionale: Fondazione Venezia, fondazione Cariverona, Fondazione Nordest, nonché una elite ristretta di imprese associabili alal cosiddetta galassia Galan. Questa intellighenzia da tempo ha capito che i partiti non sono più in grado di reggere il peso del compito di fare da guardiani dello status quo. Per questo da anni, all'ombra del civismo e della buona pratica amministrativa, concetti nobili di per sé, si sta coagulando un nuovo avatar politico col quale si cerca di mettere al sicuro idee, rendite di posizione, affari e relazioni, in un periodo di grande cambiamento come è questo. Una riedizione della formula de Il Gattopardo che in Italia viene sempre usata quando l'establishment intuisce che all'orizzonte si profila un radicale mutamento delle condizioni storiche o sociali.
E dopo il voto di domenica rimane poi sul piatto un'altra portata. Proprio facendo fede a quanto Di Lorenzo scrive oggi sul GdV sembra che Vicenza debba seguire il modello Torino-Chiamparino: ovvero grandi eventi, grandi opere, rafforzamento del legame con il mondo finanziario. Di Lorenzo nel tessere sobriamente le lodi della strada intrapresa nel capoluogo piemontese menziona anche le olimpiadi invernali. Ma da giornalista avrebbe dovuto riguardarsi attentamente un paio di servizi di Report sulla pesantissima situazione debitoria che ammorba le casse della città della Mole nonché del fallimento e delle voragini, finanziarie e non, lasciate per terra dall'esperienza a cinque anelli. «Torino indica la strada della metamorfosi a Vicenza». Ma visti i risultati in Piemonte non è che la cosa porterà un po' di sfiga? Se poi Di Lorenzo sostanzia la sua tesi facendo intuire che la svista sulla Rotonda da parte dei cronisti Rai non ci sarebbe stata se Vicenza si fosse data un futuro di iniziative (e di debiti) alla torinese la cosa diventa surreale. Perché è come se un tizio a un amico cui hanno per errore asportato un testicolo dicesse: “ma se avessi girato un film porno il chirurgo ti avrebbe riconosciuto come sanoâ€. Licenziare il medico pasticcione no eh?
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