Risparmio tradito, lezione da un disastro: le due banche venete che fanno tremare l’Italia
Giovedi 31 Dicembre 2015 alle 15:41 | 0 commenti
La crisi ha travolto il sistema di Montebelluna e Popolare di Vicenza: azioni gonfiate e rifilate in filiale, con bilanci abbelliti mentre la vigilanza fingeva di non vedere. Il destino? In bocca a uno squalo straniero
Non c'è bisogno di essere astrologi per prevedere che il 2016 sarà per gli azionisti (e non solo) delle banche venete non quotate come Popolare di Vicenza e Veneto Banca un anno decisivo. Nei prossimi mesi come ha imposto il crono-programma della Bce per evitare che a questi istituti venga applicato il nuovo meccanismo del bail in (l'azzeramento del valore delle azioni oltre che serissimi problemi per i possessori delle obbligazioni ordinarie e subordinate e dei correntisti oltre i 100 mila euro) sarà necessario procedere a maxi aumenti di capitale sia per Veneto Banca (1 miliardo) che per Vicenza (1,5) e al contestuale sbarco a Piazza Affari, dove il mercato valuterà i due istituti.
Valori abnormi e miliardi in fumo
Moltiplicavano il denaro: 10% annuo tra dividendo e rivalutazione del titolo. Meglio di Goldman Sachs Adesso, di fatto, andranno all'asta
I coefficienti patrimoniali di queste banche sono in stato di allerta e fra i peggiori del panorama bancario europeo secondo la Bce, che da quando ha preso il controllo delle operazioni (subentrando alla Banca d'Italia) ha evidenziato come la loro gestione non fosse proprio prudente, per usare un eufemismo. Due le leve principali utilizzate nell'era di Vincenzo Consoli in Veneto Banca e di Gianni Zonin in Popolare Vicenza - sovrani per diversi lustri - per far quadrare bilanci e consenso: sottovalutare i crediti deteriorati e sopravvalutare il valore delle azioni piazzandole allo sportello in grande quantità ai correntisti, migliorando così i coefficienti patrimoniali.
La gestione caratteristica di questi istituti da diversi anni, complice la forte crisi economica del Nord Est, mostrava gravi segni di deterioramento ma i top banker (poi costretti alle dimissioni) mascheravano la situazione con minori accantonamenti sui crediti e la vendita massiccia di azioni e obbligazioni subordinate.
Dal 2010, mentre le sofferenze (crediti inesigibili) triplicavano quasi di valore, gli accantonamenti venivano tenuti bassi per abbellire i bilanci, mai in rosso. Rifilare azioni ai correntisti diventava la specialità della casa, assumendo livelli abnormi, sia per le modalità (spesso era la banca stessa a finanziarne l'acquisto o a imporlo come condizione per ottenere fidi o mutui) che per le autovalutazioni siderali date al loro valore. Mentre Bankitalia e Consob stavano sostanzialmente a guardare, questi istituti potevano ogni anno stabilire sulla base di perizie discutibili (commissionate da loro stessi) che le proprie azioni valevano sempre di più e poi venderle a man bassa a decine di migliaia di risparmiatori attratti dalla salita costante dei prezzi, dal dividendo staccato ogni anno e paradossalmente dal fatto che non erano quotate in Borsa (dato che invece avrebbe dovuto allarmare) e non avevano quindi forti oscillazioni.
Tra il 1997 e il 2013 le azioni salivano (sulla carta) senza sosta. Nel caso di Veneto Banca, a Montebelluna avevano così scoperto come stampare e moltiplicare il denaro: ogni anno mediamente gli azionisti ricevevano un 2,5% di dividendo e un 7,5% di rivalutazione: un 10% di rendimento annuo complessivo che è fuori dal mondo se si pensa che nello stesso periodo le azioni quotate del settore bancario italiano invece scendevano. Dal 1999 a oggi nemmeno quelle di Goldman Sachs, una delle banche più profittevoli del pianeta riuscivano a stare al passo delle due venete. Ma agli sportelli, dove vige il conflitto d'interessi, ai risparmiatori non venivano certi raccontati i rischi di un investimento così "illiquido", cioè non rivendibile (si può piazzare il latte a 10 euro al litro?). A chi osava criticare questo metodo, la risposta dei vertici delle banche era che comparare i prezzi di istituti non quotati del territorio con quelli di banche quotate non aveva ragione d'essere.
Il risultato? Oltre un centinaio di migliaia di risparmiatori hanno scoperto nell'ultimo anno fatti allarmanti: lo stato di salute delle banche di cui erano diventati azionisti era pessimo; le azioni erano invendibili, anche perché le banche non potevano ricomprarle - causa i vincoli della Bce ma anche le casse vuote -; e il valore reale delle azioni era una frazione di quanto pagato. Chi le aveva sottoscritte negli ultimi anni (la maggioranza dei risparmiatori) scopre così di essere rimasto col cerino in mano. I consigli forniti da impiegati e funzionari (sotto la pressione dei dirigenti) ai propri correntisti si rivelano catastrofici. Fra Veneto Banca e Popolare di Vicenza il conto che si trovano a pagare i piccoli azionisti si stima possa essere ben oltre i 5 miliardi, bruciati con il giochetto delle azioni vendute a prezzi gonfiati allo sportello al pensionato mal consigliato o all'imprenditore che voleva un prestito.
Nel 2015 si arriva alla resa dei conti. I vecchi vertici sono costretti alle dimissioni con bilanci in profondo rosso che evidenziano una forte lontananza da quella che dovrebbe essere una sana e prudente amministrazione, oltre che un'inosservanza inquietante delle regole basilari di tutela del risparmio. Le azioni vengono svalutate per la prima volta dai rispettivi cda ad aprile del 23%, ma è solo l'antipasto. Il prezzo vero lo farà il mercato con gli aumenti di capitale previsti per la prossima primavera ed è possibile ipotizzare al momento un ulteriore taglio di circa il 65% del valore.
Una vera mattanza per i piccoli azionisti, che si troveranno fra pochi mesi nella difficile condizione di dover decidere se aderire agli aumenti di capitale e incrementare ulteriormente la loro esposizione (il management di Veneto Banca ha previsto una bonus share del 15% per cercare di convincere i vecchi azionisti). Intanto quello che è accaduto agli azionisti di Banca Marche, Popolare Etruria e compagnia ha convinto gli azionisti di Veneto Banca a dare l'ok alla trasformazione in Spa, alla quotazione e all'aumento di capitale con percentuali nell'ultima assemblea del 20 dicembre.
Una scelta fatta con la pistola puntata alla tempia dalla Bce e col terrore di quanto accaduto ad Arezzo, Jesi e dintorni. Per il 2016 dietro l'angolo vi è presumibilmente un cambio totale dell'assetto proprietario. Nel caso di Veneto Banca è pronto un consorzio di garanzia capeggiato da Imi (Banca Intesa) mentre per PopVicenza c'è Unicredit pronta a sottoscrivere l'eventuale inoptato. Questi istituti hanno però già fatto sapere di non essere interessati a entrare strategicamente nell'azionariato e quindi è lecito attendersi che per minimizzare il rischio di doversene accollare l'aumento di capitale il prezzo di sottoscrizione delle azioni sarà estremamente basso. Prima il gioco era ipervalutarne il valore, ora si fa il contrario. Funziona così l'alta finanza.
Come finirà ? Sostanzialmente il controllo di queste due banche venete viene offerto sul mercato al miglior offerente, come in un'asta. E presumibilmente banche italiane e fondi di private equity stranieri cercheranno di fare l'affare se il prezzo basso giustificherà l'impresa. E sarà importante valutare la credibilità , il progetto e il track record dei nuovi cavalieri bianchi per capire meglio il destino di queste banche e se il peggio è dietro le spalle. È su questo pedigree che i piccoli azionisti saranno costretti a decidere se aderire o meno all'aumento. "Esistono legami indissolubili" recitava una campagna pubblicitaria di Veneto Banca. E purtroppo chi ha sottoscritto le azioni di questo istituto (come per Vicenza) ha compreso a proprie spese che cosa volesse dire questo slogan. L'ennesima brutta storia di "risparmio tradito" che dovrebbe servire a molti risparmiatori ma anche a chi governa a capire come in Italia funziona da anni la vendita del fumo. Tutti vigilavano (collegi sindacali, società di revisione, Consob, Bankitalia): l'operazione è riuscita, ma il paziente (risparmiatore) è morto.
di Â
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