Risorgimento, un mito da riscrivere
Mercoledi 5 Maggio 2010 alle 15:02 | 0 commenti
Ma cos'avrà mai detto di tanto ignobile l'altro ieri dall'Annunziata il ministro Calderoli? Ha semplicemente affermato, da leghista, che l'unità d'Italia si potrebbe più degnamente festeggiare con l'attuazione del federalismo. Sia chiaro: noi, alla riforma federale di questo governo, varata ma ben lungi dall'essere realizzata, non crediamo neanche un poco. Anzi, pensiamo sia l'ennesima bufala del Carroccio per spostare ancora una volta in avanti, campandoci di rendita, il fatidico traguardo, e nel frattempo espandere il proprio potere.
Semmai, l'Annunziata avrebbe dovuto chiedere a Calderoli e i padani ben sistemati a Roma se provano anche solo un po' di vergogna nel darsela da anti-italiani e poi, come se nulla fosse, giurare sulla Costituzione e percepire lauti stipendi pagati coi soldi di tutti, meridionali compresi.
Resta che l'idea federale è la più congeniale alla composita realtà del nostro Paese, forti della consapevolezza che essa era radicata e diffusa nello stesso, variegato movimento risorgimentale (chiamiamolo così giusto per capirci: che cosa mai sarebbe "ri-sorto", di grazia?). Per non citare il solito intellettuale lombardo Cattaneo, persino Cavour era per un'Italia nient'affatto unitaria bensì confederata. Poi, da animale politico abituato a misurare e mutare la propria bussola sulla base dei cambiamenti, si convertì giocoforza all'unificazione divenuta fatto compiuto in seguito all'impresa garibaldina (Garibaldi, questo nostro Che Guevara, cuore generoso, pasticcione e sempre oltre l'ostacolo). L'unico a perseguire una chiara visione unitarista era Mazzini, il quale rappresentava un'esigua minoranza della già minoritaria fazione che sognava una nazione italiana (si legga in proposito il libro di Arrigo Petacco uscito un anno fa, "Il regno del Nord. Il sogno di Cavour infranto da Garibaldi", Mondadori).
Una nazione che non è mai veramente nata. Ha scritto uno storico non imputabile di simpatie bossiane, il cattolico Franco Cardini: «Di quali "Fratelli d'Italia" andiamo mai blaterando? Questo è forse, dal punto di vista storico, il principale ostacolo da affrontare quando si parla di una "identità italiana". La costruzione del processo unitario nazionale nel nostro paese non solo è stata recente (datando al massimo dalla fine del Settecento, ma in realtà piuttosto dalla metà dell'Ottocento): essa si è realizzata sulla base dell'adozione di un modello, quello centralizzatore di giacobina e bonapartistica memoria, ch'era per molti versi congruo con la tradizione storica del paese nel quale era nato, la Francia, ma che non era per nulla coerente con la storia della penisola. Ch'è storia policentrica, regionale, municipale, comprensoriale, cittadina, addirittura familiare (...). Storia di varie "patrie" senza dubbio incoerenti e magari reciprocamente incompatibili, ma tuttavia profondamente e lungamente vissute, praticate, sentite: e soprattutto amate» (www.francocardini.net ). Oggi più di allora, dopo centocinquant'anni di forzate centralizzazioni (il modello prefettizio scelto dalla Destra Storica e confermato, seppur con ritocchi, dalla speculare Sinistra), controproducenti nazionalizzazioni delle masse (la roboante cartapesta fascista, finita in tragedia), permanenti lacerazioni ideologiche fra opposti universalismi (Dc e Pci, che del tricolore non sapevano che farsene), la retorica patriottarda dell'Unità è il peggio servizio che si possa fare alla nostra, nonostante tutto, Italia. Che poi le fanfare e i tromboni siano invocati da un Presidente della Repubblica, Napolitano, che da comunista ossequiava quell'egemonia di sinistra che tacciava di "fascista" chiunque facesse appello ai valori patriottici, è veramente rivoltante. La sinistra ex internazionalista ma sì-global, venduta al pensiero unico liberal-liberista, che si aggrappa al mito dell'unità nazionale pur di dire qualcosa. Che pena.
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