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Referendum, Pci: una “nuova definizione” del concetto di costituzione

Di Redazione VicenzaPiù Domenica 27 Novembre 2016 alle 14:48 | 1 commenti

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La nota congiunta di Giorgio Langella (PCI veneto) e Dennis Klapwijk (FGCI veneto)

Leggendo i nuovi articoli e tentando, almeno, di capire l'impianto della revisione costituzionale per la quale siamo chiamati a referendum il 4 dicembre prossimo mi convinco sempre di più che siamo di fronte non solo allo stravolgimento della Costituzione entrata in vigore nel 1948, ma a una “nuova definizione” del concetto di costituzione. Dove si evidenzia una confusione formale. Le modifiche portano a una difficoltà di lettura e di interpretazione di quanto scritto che diventa imbarazzante. Una Costituzione dovrebbe essere un insieme di articoli di facile lettura e inequivocabile interpretazione ma così non è. 

Frasi involute, continui rimandi a altri articoli, commi, paragrafi o alla successiva definizione delle regole che saranno stabilite con legge ordinaria, fanno della revisione costituzionale un qualcosa di estremamente ambiguo che darà origine, necessariamente, a contestazioni ed interpretazioni difformi. Si consideri, ad esempio, quello che viene stabilito per il nuovo Senato. Prerogative e competenze della funzione legislativa confuse, procedure per la discussione e l'approvazione delle leggi di competenza difformi a seconda della materia trattata, le questioni di competenza che vengono decise dai presidenti delle Camere “d'intesa tra loro” senza indicazione di cosa dovrà succedere nel caso tale intesa non fosse possibile o non esistesse, la composizione del senato stesso in continua e caotica definizione (i senatori, in quanto emanazione dei consigli regionali e nominati tra i sindaci, decadranno a seconda del loro mandato nelle istituzioni territoriali nelle quali sono stati eletti direttamente) rendono il nuovo ordinamento della Repubblica pericolosamente claudicante e inefficiente.

Quando la forma diventa sostanza.

Ma c'è un'incongruenza che può essere ben definita “inquietante”. Riguarda la delibera dello “Stato di guerra” che viene decisa a maggioranza assoluta dalla sola Camera dei deputati (articolo 78). Ebbene è l'unica volta nella quale non viene specificato se la maggioranza assoluta è dei componenti della Camera stessa. Va bene che maggioranza assoluta è un insieme composta dalla metà più uno di un gruppo e che, per consuetudine, il “gruppo” in questione può essere considerato composto da tutti i componenti della Camera, ma, visto che in tutti gli altri articoli si scrive di “maggioranza assoluta dei componenti”, come si deve intendere questa differenza (ci si è “dimenticati” di specificare “dei componenti”) in un articolo così importante come quello che definisce le modalità con le quali si delibera lo “stato di guerra”? Forse si lascia aperta la porta all'interpretazione che tale decisione potrà essere presa dalla maggioranza assoluta dei presenti? E se così fosse, che altro non sarebbe se non un indizio ulteriore della volontà di dare alla nostra Repubblica un assetto istituzionale che apre le porte alla possibilità dell'instaurazione di un regime poco democratico se non autoritario?

Un'incongruenza che si può trovare anche in altri articoli della revisione costituzionale. Esempio è l'articolo 70 sulle competenze del nuovo Senato, nel quale si scrive “I presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti”. E se l'intesa non viene raggiunta? Chi decide? Forse la Corte Costituzionale?

Questi sono, comunque, esempi della superficialità imbarazzante (sconfinante nell'incompetenza) e della colpevole ambiguità che i “novelli costituzionalisti” hanno usato nella scrittura di quella che è la legge fondamentale della Repubblica.

E quando i contenuti prefigurano una Repubblica gerarchica e a-democratica (fondata sull'impresa e non sul lavoro).

Il diffuso riferimento, in Costituzione, all'“Unione europea” (per altro già presente nelle precedenti modiche costituzionali del 2001 e del 2012), presuppone che questa esista e che la nostra nazione sia costretta anche al vincolo di farne parte. Indicativa è la trasformazione dei termini “ordinamento comunitario” in “ordinamento dell'Unione europea” contenuto nel primo comma dell'articolo 117 (che definisce le competenze esclusive di Stato e Regioni) con la quale risulta chiara la “presa d'atto” definitiva della supremazia dell'Unione europea (e, quindi, di fatto delle direttive provenienti da BCE, FMI e Commissione europea) rispetto alla sovranità nazionale del nostro Stato. Ma, qualora non ci fossero più le condizioni per la presenza dell'Italia nell'Unione europea o se quest'ultima non esistesse più (o se cambiasse strutturalmente) come ci si dovrebbe comportare? Questo presuppone, per lo meno, una forte miopia in chi ha “costruito” la “nuova costituzione”. Un'incapacità di considerare il contesto europeo e mondiale in un'evoluzione che potrebbe essere, oggi, imprevedibile. Si pensa, forse, che la struttura delle istituzioni europea sia praticamente immutabile o che queste durino in eterno? Forse la volontà è quella di considerare la Costituzione non come fondamento dello Stato, che debba durare nel tempo, ma come una sorta di legge ordinaria modificabile a piacimento da chi è il “capo” e, come tale, controlla la maggioranza dei seggi della camera dei deputati. Questo è il pericolo di una revisione costituzionale nata in maniera che definirei poco democratica, emanazione del governo, senza un coinvolgimento preventivo del popolo (al quale dovrebbe appartenete la sovranità – vedi articolo 1 della Costituzione vigente) che permettesse a tutti i cittadini di conoscere e capire.

Per quanto riguarda la norma del pareggio i bilancio introdotta dal governo Monti nel 2012 (con la scusa che fosse l'Europa a volerlo o imporlo), questa viene rafforzata estendendola come obbligo alle Regioni grazie alla modifica dell'articolo 116 dove si vincola la delega di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” al fatto che “la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio” (che ripete la formula iniziale che prevede il vincolo al pareggio di bilancio contenuta nell'articolo 81).

Nell'articolo 117, che definisce la “potestà legislativa” esclusiva dello Stato e delle Regioni si introduce la clausola di supremazia che prevede che “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale”. Una formula generica che consegna al Governo, grazie alla legge elettorale in vigore (l'Italicum che, di fatto, prevede che il “capo” della lista che detiene la maggioranza assoluta della camera dei deputati e sia contemporaneamente presidente del consiglio), il potere quasi assoluto di accentrare decisioni e prerogative che scavalcano e rendono ininfluenti la volontà e le decisioni dei territori. Un ulteriore svuotamento del principio per il quale la “sovranità appartiene al popolo” contenuto nel primo articolo della Costituzione.

La nuova costituzione che viene così costruita assomiglia sempre di più (ad ogni lettura è una sensazione che diventa sempre di più certezza) allo statuto di una delle aziende componenti di una multinazionale. Le istituzioni che costituiscono la Repubblica (e che dovrebbero avere pari dignità e una funzione di controllo incrociato tra loro) sono ridotte a “reparti produttivi” che rispondono e “ubbidiscono” all'istanza superiore (un governo nazionale sempre più simile a un consiglio di amministrazione) e questa al potere sovranazionale (l'Unione europea, questa Unione europea retta da nessun eletto che a sua volta risponde al vero potere economico e finanziario retto da interessi per lo più privati). La politica diventa amministrazione. Il potere legislativo viene ridotto a una servile amministrazione più o meno efficiente di decisioni prese da livelli di potere diverse e imposte grazie a vincoli di bilancio. È il trionfo, forse definitivo, del liberismo più sfrenato e del capitalismo più avido che considera le costituzioni democratiche nate dalla guerra al nazifascismo orpelli da cancellare in quanto garantiscono diritti ai lavoratori e permettono il diritto alla protesta (vedi documento J.P.Morgan del 2013).

Infine, risulta particolarmente pericolosa la preoccupante ignoranza di molti giovani e meno giovani sulle conseguenze della revisione costituzionale in atto. C'è un appiattimento acritico sulla propaganda che disegna qualsiasi cambiamento come necessario. Sia esso migliorativo che peggiorativo della situazione attuale. Vuoi per malafede o indifferenza, vuoi perché ormai convinti dal pensiero tragicamente individualista secondo il quale "io sono il migliore e supererò tutti" (tanto di moda oggi quanto generalmente irrealizzabile nella realtà), si ha la sensazione che tanti non capiscano che, approvando la cosiddetta riforma costituzionale, si avviano a firmare una cambiale in bianco a chi disporrà del loro futuro. Rinunciano al ruolo di cittadini per quello di sudditi, accettando di diventare servi come popolo e come individui.

Compito fondamentale dei comunisti è quello di fare politica culturale per ricostruire quella coscienza diffusa e quella libera capacità di analizzare e interpretare la realtà necessarie a costruire una società più giusta.

Leggi tutti gli articoli su: Referendum, Pci

Commenti

Inviato Domenica 27 Novembre 2016 alle 15:24

Ancora una bugia dei "governativi.
Sostengono che, con le modifiche alla Costituzione e l'Italicum, sarà più veloce legiferare.
Nella realtà il motivo, per cui NON hanno eliminato in toto il Senato è ben diversa.
Del "nuovo Senato" andrebbero a far parte presidenti di Regione e sindaci, che per l' 80 %, sono di sinistra. Se alle prossime elezioni dovesse prevalere il centro destra o il M5S, conquistando la Camera, è più che evidente che nascerebbe un conflitto perenne, che porterebbero a una GOVERNABILITA' ZERO. Di questo fatto, se ne sono finalmente accorti anche all'estero e qualche organo d'informazione piuttosto importante, sta cambiando le posizioni di chiusura iniziali, anzi invita gli italiani a votare "NO".
Ma, gli italiani l'avranno capita la falsità dell'operazione governativa o saranno disposti a farsi prendere ANCORA per i fondelli ?
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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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