Quanto vola basso Tremonti
Sabato 21 Maggio 2011 alle 12:53 | 0 commenti
Beniamino Lapadula, Rassegna.it - La tenuta dei conti non basta. Senza crescita anche i conti sono a rischio. Ma si preferisce non far nulla condannando il paese al declino. Lo testimonia l'imbarazzante modestia del Piano nazionale di riforma.
A poche settimane dal varo del Programma nazionale di riforma, (un ennesimo "libro dei sogni" privo di qualsiasi elemento di concretezza), il governo, con l'approvazione del "decreto sviluppo", ha perso un'ulteriore occasione per dare un segnale positivo al paese, per riaccendere la speranza di poter contrastare un declino dell'Italia che appare sempre più inesorabile. Il decreto, infatti, mette in ï¬la un rilevante numero di misure estemporanee, tutte a costo zero, che non affrontano neanche uno dei problemi di fondo dell'economia italiana.
Il testo del decreto, al momento in cui questo numero di Economia si chiude, ancora non è in Gazzetta Ufï¬ciale, in quanto ha suscitato riserve, sia da parte del Quirinale, che dall'Unione Europea. I rilievi riguardano, in particolare, l'attribuzione di un diritto di superï¬cie ai privati sulle coste per 90 anni. Bruxelles ha avanzato, a livello informale, perplessità per l'evidente violazione della direttiva Bolkestein sulla liberalizzazione dei servizi. Le perplessità della presidenza della Repubblica riguardano anche altre misure che non rispondono ai requisiti di straordinaria necessità e urgenza previsti per i decreti legge.
Al di là dell'evidente tempistica pre-elettorale del provvedimento, come ha osservato giustamente Guido Tabellini su il Sole 24 Ore dell'8 maggio, l'estemporaneità delle misure adottate non è casuale. Le riforme di cui il nostro paese ha bisogno esigerebbero un serio sforzo di programmazione e l'impegno politico convinto di tutta la maggioranza e dell'intera compagine governativa, non solo del ministro dell'Economia. È evidente, invece, che il governo, o meglio il presidente del Consiglio che ne è proprietario assoluto, ha priorità politiche diverse (in primo luogo la guerra alla Magistratura) da quelle della politica economica.
A Tremonti, quindi, non resta che cercare di tenere sotto controllo i conti con tagli lineari alla spesa pubblica. Quelli selettivi, infatti, per essere praticabili richiederebbero una regia attiva del presidente del Consiglio e un fattivo impegno collegiale da parte di tutti i ministri. Soltanto con tagli di spesa selettivi, operati con la tecnica del "bilancio a base zero" e con una convinta lotta all'evasione potrebbero essere reperite le risorse necessarie a rilanciare lo sviluppo ma, poiché questa linea contrasterebbe con il populismo berlusconiano, si preferisce non far nulla condannando il paese alla stagnazione e al declino.
Lo testimonia la stessa imbarazzante modestia degli obiettivi indicati nel Piano nazionale di riforma. Infatti, anche se gli obiettivi Europa 2020 contenuti nel Pnr italiano dovessero essere conseguiti (e non si vede come ciò sia possibile, se si seguirà l'impostazione del "Decreto sviluppo"), nei principali ambiti di azione l'Italia resterà in coda rispetto a tutti gli altri paesi dell'Unione europea. L'obiettivo per l'occupazione indicato dal governo è del 67 per cento rispetto a un target comunitario del 73 per cento. Quello della spesa per ricerca e sviluppo è pari alla metà dell'obiettivo europeo ï¬ssato al 3 per cento del Pil. L'Europa punta ad avere il 40 per cento di laureati, l'Italia nel Pnr si ferma al 26 per cento.
Anche per quanto riguarda gli abbandoni scolastici, a fronte di un obiettivo europeo del 10 per cento, l'Italia ne ï¬ssa uno del 16 per cento, cioè programma centinaia di migliaia di ragazzi che non ï¬niranno il ciclo obbligatorio di studi. Con questa linea nel 2020 l'Italia non soltanto non sarà più vicina a paesi come la Francia e la Germania, ma sarà scavalcata anche dalla Polonia, ï¬nendo in coda ai 27 paesi dell'Unione, insieme a Cipro e a Malta. Tremonti sostiene che "non sarà la spesa pubblica il motore della ripresa" facendo così ï¬nta di ignorare che è proprio quello del ï¬nanziamento delle misure di politica economica il nodo fondamentale da sciogliere.
Ci sono certamente anche utili misure a costo zero, come le sempliï¬cazioni e, soprattutto, le liberalizzazioni. C'è però da dire che anche in questo campo il governo non solo non fa passi avanti, ma addirittura, come per ordini professionali e parafarmacie, compie incredibili passi indietro. Mentre altri paesi, non solo Francia e Germania, ma anche Spagna e Portogallo, cercano di raccogliere l'invito dell'Europa ad agire adottando misure strutturali di riforma, da noi manca una credibile strategia di rilancio. Anche Conï¬ndustria, con le più recenti prese di posizione, ultima in ordine di tempo le Assise tenute a Bergamo, ha ï¬nalmente trovato il coraggio di affermarlo. Per uscire dalla crisi non basta la tenuta rigorosa dei conti pubblici. Senza sviluppo, infatti, questa stessa tenuta è a rischio. Soltanto una ripresa robusta della crescita può dare luogo al gettito ï¬scale necessario per far fronte ai nuovi obblighi che l'Italia si è assunta sottoscrivendo il nuovo Patto per l'euro.
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