Pm chiede per Matteo Marzotto un anno e quattro mesi: per stampa locale non è notizia
Giovedi 29 Ottobre 2015 alle 10:06 | 1 commenti
«Vendita Valentino, il Pm chiede un anno e quattro mesi per i Marzotto e Caputi», titolava già ieri, mercoledì 28 ottobre, ad esempio Repubblica.it sul caso giudiziario che riguarda da tempo, dopo che la gran parte dei familiari e di altri coinvolti nell'inchiesta hanno già patteggiato, Matteo Marzotto, presidente per noti meriti imprenditoriali e manageriali del Cuoa di Altavilla, della Fiera di Vicenza e membro del Cda della Banca Popolare di Vicenza in compagnia, lui che si spende per campagne umanitarie in bici, di illustri "benefattori" degli azionisti vicentini come Gianni Zonin, il re dello scacco matto ai risparmiatori berici e non solo, e il suo "pedone" Giuseppe Zigliotto.
Il sommario, per chiarire e riassumere, recitava: «Secondo i calcoli delle Entrate non sarebbero state versate imposte per 70 milioni, su una plusvalenza di 218 milioni. Il pm: "Ci sono tutti gli elementi per giungere a un giudizio di colpevolezza"».
Ora, per carità , in Italia siamo tutti innocentisti e innocenti, me incluso, per diritto divino e fino al Giudizio universale, ma ci fa ancora una volta pensare (visto che la libertà di pensiero, almeno quella, ancora non è stata imbavagliata per legge come si prova a fare per la libertà di informare) il fatto che la stampa locale non dedici neanche un trafiletto a una richiesta di condanna di un anno e quattro mesi per il "bamboccione" dei Marzotto, che invece segue per ogni suo starnuto sugli altri fronti per i quali guadagna fior di euro. Se i miei impavidi (incoscienti?) collaboratori avessero saltato a piè pari una notizia del genere non li avrei mangiati sedua stante solo perchè sono poca carne e molte ossa vista la ben magra attenzione pubblicitaria verso di noi dei "poteri", che non lesinano dolci pensieri alla stampa amica (anche quelal nazionale, per carità , che ne scrive sul web, salvando la faccia dell'informazione di certo, ma non sulla carta magari perchè occupate da pagine di... moda amica).
Ma tant'è, siamo pronti a intervistare, se ce lo concederà , Matteo Marzotto, notoriamente anche lui sotto tiro, evidentemente, di giudici brutti e cattivi, gli stessi che magari sarebbero troppo buoni se assolvessero Usb e Cobas accusati, con prove... inconfutabili come le "parole" della Cooperativa Ecofficina, di sobillare i profughi di Cesuna.
Siamo pronti a intervistare Matteo e saremmo felici, poi, di pubblicare con grande evidenze la sua augurabile assoluzione dopo la quale, dopo la quale ripeto, potrebbe essere rinominato alle alte e lucrose cariche da cui, però, non si è ad oggi mai dimesso...
Ma in quel caso, porca miseria, non ci basterà spazio per competere con le lenzuola di carta intrise di sdegno che gli verrebbero dedicate dalla stampa indigena, oggi chiusa in un luttuoso e offeso silenzio...
Di seguito pubblichiamo l'articolo di Repubblica.it di ieri, mercoledì 28 ottobre.
MILANO - Il pm di Milano Gaetano Ruta ha chiesto la condanna a un anno e quattro mesi per Matteo Marzotto, la sorella Diamante e per Massimo Caputi, imputati davanti la seconda sezione penale del tribunale di Milano per il reato di omessa dichiarazione dei redditi, in relazione alla vendita di Valentino Fashion Group. Secondo i calcoli effettuati dall'Agenzia delle Entrate non sarebbero state versate imposte per circa 70 milioni di euro su una plusvalenza di 218 milioni di euro al momento della vendita del gruppo di moda al fondo Permira.
Nella sua requisitoria, il pm ha sottolineato che "ci sono tutti gli strumenti per giungere a un giudizio di colpevolezza", ed è "pacifico il fenomeno dell'esterovestizione" della società coinvolta nell'operazione.
L'inchiesta della Procura era stata chiusa nell'aprile del 2013, con la notifica dell'avviso di conclusione indagini ai 13 indagati: Vittorio, Matteo, Maria Rosaria, Cristiana, Diamante e Margherita Marzotto, Andrea, Isabella e Rosanna Donà Dalle Rose, Barth Zech, Pierre Kladmy, Ferdinando Businaro e Massimo Caputi. Ai tempi, l'accusa formulata dai pm Laura Pedio e Gaetano Ruta era di omessa dichiarazione dei redditi. Secondo l'accusa gli indagati avrebbero violato l'articolo 5 della legge 74/2000, ovvero non avrebbero pagato le imposte in Italia sulla plusvalenza realizzata dalla cessione, nel 2008, delle loro quote del gruppo della moda al fondo Permira.
Il processo arrivato alle battute finali riguarda la vendita delle quote di maggioranza relativa di Valentino fashion group da Icg (società lussemburghese di cui erano soci, tra gli altri, i membri delle famiglie Marzotto e Donà dalle Rose) al fondo Permira nel maggio 2007. Si è trattato di una operazione di circa 700 milioni di euro, che ha fruttato a Icg una plusvalenza calcolata in 218 milioni di euro. La Icg aveva sede in Lussemburgo e su questa plusvalenza ha pagato una imposta di 520mila euro nel Granducato. Secondo le indagini condotte dalla Guardia di Finanza, tuttavia, la Icg sarebbe stato "un caso di esterovestizione", come ricordato oggi in aula dal pm Ruta, in quanto "aveva la sede legale all'estero ma era gestita completamente dall'Italia" oltre "a fare riferimento a soggetti italiani". Di conseguenza, secondo l'accusa la Icg era in realtà italiana e quindi avrebbe dovuto presentare la dichiarazione dei redditi in Italia - e non in Lussemburgo - e quindi pagare le tasse sulla plusvalenza ottenuta dalla vendita delle quote di Valentino in Italia. Nell'inchiesta, altre 10 persone hanno patteggiato e chiuso le loro pendenze penali relative a questa vicenda. Negli anni scorsi, dopo l'emergere dell'indagine, Vittorio Marzotto, in qualità di legale rappresentante della Icg, aveva chiuso la questione con l'Agenzia delle Entrate, versando al fisco circa 57 milioni di euro.
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