P.G Battista: Il giornalismo a sua insaputa..., di Marco Travaglio
Venerdi 14 Settembre 2012 alle 08:39 | 0 commenti
Se ogni tanto ci occupiamo di Pierluigi Battista non è perché egli abbia un peso determinante nel panorama dell'informazione mondiale. Ma perché è uno dei capostipiti di un nuovo genere giornalistico che ha preso piede nell'ultimo ventennio: il giornalista spannometrico, che fa programmaticamente a meno dei fatti. Il desertificatore di Notizie. Il giornalista a prescindere. Negli annali della stampa italiana, non si ricorda una sola notizia portata da Battista. Il quale anzi se ne guarda bene e se ne vanta.
E se per caso, a sua insaputa, gli capita d'incontrarne una, la incenerisce col napalm o fugge via a gambe levate, con la faccia da urlo di Munch. Quando lo invitano in tv a commentare un fatto, lui premette subito "non voglio entrare nel merito, però...", "non conosco le carte, però...", "non ho letto i documenti, però...". Però vai a casa a studiare, gli direbbe il conduttore in un paese civile e smetterebbe di invitarlo finché non assicuri di essersi preparato su un tema a piacere. In Italia invece è l'ospite ideale: lo appoggi su una poltrona, un tavolino, uno sgabello, uno scaffale, tipo pianta grassa, e fa la sua parte dispensando banalità da bar sport. Non sporca, non disturba, dove lo metti sta. Alla fine capita pure che lo dimentichino in studio senz'avvertirlo che la trasmissione è finita. E lui mai un guaito di lamento: lo ritrovi lì la settimana dopo per la puntata successiva, dove si parla di tutt'altro, ma lui, non sapendo nulla di nulla, riesce a entrare perfettamente nel dibattito con la medesima enciclopedica incompetenza. Ieri sul Corriere ce l'aveva col Fatto, che gli dà particolarmente fastidio perché dà le notizie. Una, soprattutto: la ricostruzione dei "fuori verbale" di B. dinanzi ai magistrati di Palermo (i complimenti per il loro equilibrio, una barzelletta che non fa ridere, le battute sul calcio, l'auspicio che Ingroia entri in politica perché "solo noi professionisti possiamo salvare l'Italia"). Trattandosi di parole extra-verbale, dunque sottratte al segreto investigativo, Ingroia ha confermato pubblicamente che sì, il Cavaliere gli ha dato quel consiglio. Il che, secondo il Battista, è una gravissima violazione del segreto investigativo, che nel suo personalissimo codice penale deve coprire anche le barzellette: non solo "il contenuto di un colloquio giudiziario, ma anche tutto il contorno di battute, formule di cortesia, sguardi che formano il contesto di una relazione riservata tra i magistrati e un testimone". Quindi, per dire, se un testimone un po' focoso prende a calci e pugni il pm durante l'interrogatorio, il pm deve uscire dalla stanza zoppicando con la testa fasciata e raccontare, per non violare il segreto su "tutto il contorno", di essersi procurato le lesioni dando testate alla parete e calci al termosifone. Costernato dal fatto che il Fatto abbia pubblicato notizie, il Battista scavalca gli avvocati di B. e scrive: "Berlusconi va a parlare con i magistrati di Palermo" e "poche ore dopo la chiacchiera finisce su un giornale ‘amico'". Talmente amico che le uniche notizie segrete delle indagini sulla trattativa (l'esistenza di telefonate intercettate tra Mancino e Napolitano e poi il loro presunto contenuto) sono uscite su Panorama. Non solo: i primi quotidiani a pubblicare il contenuto delle intercettazioni Mancino-D'Ambrosio un giorno prima che venissero desecretate furono Repubblica e, guarda un po', il Corriere su cui Battista scrive. Sempre sul Corriere, giovedì, cioè all'indomani dell'interrogatorio, Giovanni Bianconi ha pubblicato anche tra virgolette ampi stralci della deposizione di B. a verbale, ovviamente segreta. Soffiate dei pm a un "giornale amico", o notizie ricostruite da un bravo cronista su un fatto di grande rilevanza pubblica? Inutile domandarlo a Battista, che di queste cose non si occupa. Lui infatti non legge nemmeno il giornale su cui scrive. Anche lì, di tanto in tanto, rischierebbe di imbattersi in qualche notizia. E non se ne riavrebbe più.
Da Il Fatto Quotidiano dell'11 settembre 2012, di Marco Travaglio
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