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Pfas, i medici Isde Veneto: gli studi della Regione sulla popolazione esposta non sono scientificamente attendibili

Di Edoardo Pepe Sabato 17 Dicembre 2016 alle 17:26 | 0 commenti

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Vincenzo Cordiano, ematologo, presidente della sezione di Vicenza e referente regionale per il Veneto dell'associazione Medici per l'ambiente-ISDE Italia onlus, diffonde l'elaborato con le osservazioni sui risultati degli studi presentati a luglio e a ottobre e mai pubblicati su riviste scientifiche intitolato "Gli studi della Regione Veneto sulla popolazione esposta ai PFAS non sono scientificamente attendibili". Di seguito pubblichiamo il documento integrale. 

Il comitato direttivo ISDE Veneto ha esaminato la documentazione presentata durante la conferenza stampa del 22.7.2016 in cui sono stati esposti i risultati degli studi condotti dal Sistema Epidemiologico Regionale (SER) e dal Registro Tumori del Veneto (RTV) per valutare lo stato di salute della popolazione esposta alla contaminazione da PFAS. Nel comunicato stampa N° 1006 del 22/07/2016 della Regione Veneto si legge che: “ Sul piano oncologico ed epidemiologico, l’inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche (PFAS) emerso nel 2013 in una vasta area del Veneto, ma in atto presumibilmente da almeno 20 anni, non ha portato al momento a rilevare un peggioramento del trend di salute dei cittadini nei territori maggiormente esposti.” Del tutto analoga la valutazione dei risultati dello studio presentato dal Registro Tumori il 28 ottobre, riguardante la popolazione dei 21 comuni definiti come esposti a PFAS :“In conclusione, tutte le diverse tipologie di analisi effettuate non documentano una maggiore incidenza di tumori maligni nelle popolazioni considerate, rispetto ai valori medi regionali”( Comunicato nr. 1479-2016).

Non condividiamo le conclusioni del SER e del RTV per i seguenti motivi.

  1. I risultati dello studio di mortalità 2007 – 2014 del Sistema Epidemiologico Regionale (SER), pur con i limiti dell'estensione temporale di soli otto anni, dimostrano un aumento di mortalità per alcune malattie non neoplastiche nelle zone contaminate: cardiopatie ischemiche sia negli uomini che nelle donne, rispettivamente +21% e

+11%; malattie cerebrovascolari + 19% nei maschi; diabete mellito (+ 25%) e Alzheimer (+14%) nelle donne. Lo stesso studio del SER rileva inoltre nella popolazione dei 21 Comuni più inquinati, in entrambi i sessi, una prevalenza significativamente maggiore del riferimento regionale di dislipidemie e ipotiroidismo. Queste sono malattie la cui eziopatogenesi è legata anche ai meccanismi d’azione degli interferenti endocrini, categoria di sostanze chimiche cui appartengono i PFAS. Lo studio SER ha sostanzialmente confermato i risultati della precedente indagine ISDE – ENEA che, analizzando i dati di mortalità di un periodo molto più lungo, 1980- 2009, aveva evidenziato un eccesso statisticamente significativo di mortalità in entrambi i sessi per ogni causa e per diabete mellito, infarto acuto del miocardio e malattie cerebrovascolari; nelle femmine, aveva rilevato anche un eccesso statisticamente significativo di mortalità per malattia di Alzheimer e cancro del rene. Non comprendiamo, quindi, come sia possibile, da una parte, affermare che “non si sia rilevato un peggioramento del trend di salute dei cittadini nei territori maggiormente esposti” e, dall’altra, attribuire a stili di vita l’eccesso di mortalità osservato, senza peraltro addurre alcuna prova a sostegno di tale affermazione che costituisce, allo stato attuale, una mera opinione personale dell’autore dello studio; è d’altronde ben difficile ipotizzare che proprio nelle aree contaminate le persone abbiano uno stile di vita significativamente peggiore delle popolazioni limitrofe.

Probabilmente il trend non è aumentato perché lo stato della salute nei territori con l’acqua potabile e la catena alimentare contaminate per decenni dai PFAS è da sempre peggiore rispetto alle altre aree della regione e, in ogni caso, il SER non misura alcun trend. Questi risultati, tutt’altro che tranquillizzanti, imporrebbero, in ossequio al principio di precauzione sancito dalla normativa europea, l’adozione immediata di provvedimenti atti a:

    1. eliminare l’esposizione della popolazione ai PFAS, quali l’approvvigionamento alternativo di acqua potabile (ovviamente garantendo il rifornimento di acqua destinata al consumo umano non inquinata), la sospensione della produzione e commercializzazione di alimenti contaminati
    1. intraprendere, affidandoli ad esperti indipendenti, studi epidemiologici di tipo analitico. Entrambe le richieste sono state più volte avanzate da ISDE alle autorità regionali.
  1. Un aspetto della questione, per nulla chiaro ma veramente importante, riguarda la definizione dei comuni “esposti “: mentre nel documento tecnico allegato alla delibera 1517/2015 la popolazione esposta (circa 270.000 soggetti) era stata individuata come residente nei comuni in cui si era verificato in rete o in pozzi privati almeno un superamento dei limiti di performance per PFOA, PFOS o altri PFAS (PFOA >500 ng/L, PFOS >30 ng/L, altri PFAS >500 ng/L), la nota 203887 del 24.05.2016 del Direttore Generale Area Sanità e Sociale individua 21 comuni sulla base della ricostruzione della filiera acquedottistica, per una popolazione di 127.000 soggetti. Nella lista dei comuni entrano così tra gli esposti Alonte e Asigliano che nel 2013 non presentavano alcun superamento dei limiti e ne escono molti altri che invece li avevano superati, come, ad esempio, Vicenza che aveva livelli altissimi nel luglio 2013 ( 1600 ng/L di PFOA, 80 di PFOS e 1800 di altri PFAS). E’ grave a nostro parere che non siano resi pubblici i criteri utilizzati per questa nuova definizione dei comuni esposti.
  1. Per quanto riguarda le malattie neoplastiche, osserviamo che:

    1. Esiste un problema prioritario di affidabilità dei dati del Registro Tumori poiché i dati sicuramente certificati dalla IARC (Agenzia Internazionale di Ricerca sul Cancro – OMS) si fermano al 2006. E’ quindi indispensabile sapere se i dati presentati alle conferenze stampa sono stati sottoposti alla IARC, come aveva dichiarato il responsabile del registro, e se sono stati accreditati. Presentare i dati di un solo anno e relativi a una piccola popolazione è al di fuori di qualsiasi regola internazionale e nazionale dei registri e francamente dubitiamo sia stato fatto su dati validati dalla IARC.
    2. Esiste anche un problema di credibilità scientifica dei criteri utilizzati nel disegno dello studio sui tumori nella “zona rossa”. Infatti, fra tutte le molecole del gruppo PFAS, solo il PFOA è stato valutato dalla IARC come “possibile cancerogeno” per testicolo e rene. E dei 21 Comuni “esposti”, due, Alonte e Asigliano, nel 2103 non presentavano inquinamento superiore ai limiti stabiliti dall’ISS per nessuna categoria di PFAS; in altri tre (Boschi sant’Anna, Minerbe e Roveredo di Guà), i limiti erano superati solo dal PFOS. Gli effetti cancerogeni dei PFAS sono stati quindi studiati su una popolazione in parte non esposta a sostanze classificate come cancerogene. Sorprendentemente, inoltre, per i 19 casi di cancro del testicolo identificati sono riportati i tassi di incidenza in ognuno dei 21 comuni, quando è ovvio che in almeno due municipalità non possono esserci casi di cancro testicolare. Inoltre, nell’analisi dell’ASL 5 (reperibile nel sito RTV), risulta che il tasso di incidenza del cancro al testicolo è decisamente più alto del riferimento regionale: 11.3 su 100.000 rispetto a 7.1. E nella popolazione maschile di circa 20.000 soggetti residenti nella zona sud dell’ASL 6 sono stati rilevati 4 casi, che portano a un tasso ancora più alto, di circa 20 su 100.000. Ci risulta problematico, pertanto, condividere in questa situazione la dichiarazione attribuita al prof. Rugge, di essere “confidente in questi dati fino alle estreme conseguenze” e le conclusioni identiche riportate in entrambi gli studi regionali : “… da nessuna delle analisi effettuate è emersa alcuna evidenza di una maggiore incidenza di tumori a carico delle popolazioni esposte a PFAS, sia per le sedi oggetto (testicolo e reni) di particolare attenzione che per tutti i tumori.”
  1. Molte perplessità suscita infine, a nostro parere, la decisione della regione Veneto di finanziare con 100-150 milioni di euro l’anno per dieci anni, la “cosiddetta presa in carico “di parte della popolazione esposta che verrà sottoposta annualmente, per i prossimi dieci anni a visite mediche periodiche ed analisi di laboratorio.” Premesso che i dettagli “della presa in carico” non sono stati finora pubblicati, la decisione di sottoporre oltre 100.000 persone ad analisi di laboratorio aspecifiche, senza contemporaneamente dosare i PFAS nel sangue dei partecipanti, non permetterà di stabilire eventuali correlazioni fra le patologie multifattoriali PFAS-associate né nel singolo caso né nell’intera popolazione studiata. Non si comprende perché “dalla presa in carico” della popolazione sarebbero esclusi i bambini sotto i 14 anni e gli adulti sopra i 65 anni, le donne gravide e i neonati, come già avvenuto per lo studio sul biomonitoraggio umano. Sembra quasi che, per le autorità regionali e statali, le fasce più suscettibili agli effetti tossici dei PFAS, non esistano o non siano meritevoli di attenzione. E quand’anche, fra dieci o più anni, fosse stabilita un’eventuale correlazione nei singoli individui fra patologie e livelli ematici di PFAS, come giustificheranno le autorità la decisione di aver lasciato ampie fasce della popolazione veneta esposte per un decennio a concentrazioni elevatissime di PFAS? A nostro avviso gli obiettivi dello studio regionale potrebbero ugualmente essere

perseguiti con un’indagine condotta mediante intervista telefonica dei partecipanti da ripetere annualmente, con notevole risparmio di risorse economiche.

In conclusione, la Regione Veneto con le sue strutture scientifiche (SER, Registro Tumori e altri registri), non appare in grado di affrontare con credibilità una situazione caratterizzata da notevole incertezza scientifica. Riteniamo, così come è stato fatto negli USA in occasione dell’inquinamento prodotto dalla DuPont, che si debba, attraverso un bando pubblico di ricerca, affidare ad esperti indipendenti la conduzione di studi analitici sulla popolazione esposta che affrontino i possibili molteplici effetti avversi di queste sostanze e chiariscano il ruolo causale di queste sostanze sulle patologie già rilevate negli studi descrittivi finora condotti.

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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