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Pfas e Pfoa: decine di migliaia di "avvelenati" o una questione da monitorare con attenzione ma senza allarmismi? L'esperto Bruno Cardini ci illustra questa posizione

Di Giulia Biasia Mercoledi 25 Maggio 2016 alle 19:11 | 0 commenti

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Se sulla controversa questione Pfas (sostanze perfluoroalchiliche) abbiamo ascoltato il Procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri, oggi vediamo di proseguire lungo un percorso di approfondimento e non solo di pura cronaca noi che degli eventuali problemi connessi con le sostanze perfluoroalchiliche scriviamo da sempre e non solo per moda del momento o per oscurare altre informazioni, magari su scandali bancari o su problemi sociali. Più ci si addentra, infatti, nella vicenda dell'inquinamento da Pfas o da Pfoa (acido perfluoroottanoico), più emergono retroscena sconcertanti che ci riportano alla memoria tristi scenari già visti negli ultimi anni, in cui l'Italia è passata dall'essere il Bel Paese tanto invidiato da tutti ad essere il "Paese delle emergenze". La "vicenda" PFAS inizia nel 2013, quando il CNR e l'IRSA, impegnati in un progetto nazionale di ricerca, evidenziano la presenza di queste sostanze nelle acque potabili di alcuni comuni del vicentino.

I risultati vengono comunicati ai responsabili del controllo alimenti del SSN (Sistema Sanitario Nazionale) che si trovano ad operare senza avere, dalla Legislazione nazionale, un preciso limite di sicurezza per le acque potabili.
Da quel 2013 sino alla conferenza tenutasi in Regione Veneto il 20 aprile 2016 la situazione poteva sembrare sotto controllo grazie anche ad approfondimenti degli addetti ai lavori. Invece oggi l'allarme è esploso a tal punto che la popolazione da una prima preoccupazione è passata ad essere spaventata, anche grazie a titoli preoccupanti della stampa locale (tipo "250.000 avvelenati, 60.000 a rischio tumore").
Se per le acque potabili degli acquedotti si aveva e si ha comunque un controllo, per i pozzi sia a uso privato sia a uso aziendale non esisteva quasi niente e si è arrivati al punto che i sindaci dei comuni interessati abbiano dovuto ricorrere a estremi rimedi, come nel caso del sindaco di Vicenza, Achille Variati, che, in assenza di una strategia regionale, ha firmato un'ordinanza con la quale ha "obbligato" i proprietari di pozzi privati a fare analisi a carico proprio.
Sicuramente di fronte al rischio incombente che il giusto allarme diventi ingiustificato allarmismo i sindaci hanno la responsabilità di garantire la potabilità dell'acqua delle strutture pubbliche di distribuzione e la responsabilità politica di intervenire. In questo caso, tuttavia, la mancanza del legislatore è stata notevole per non aver saputo dare, ancora oggi, certezze e precisi quadri di riferimento.
Due sono i problemi alla base della vicenda: stabilire i parametri secondo i quali "catalogare" la pericolosità di tracce di PFOA - PFAS nel sangue di una persona, anche se si ci sono alcune discrepanze che non permettono di definire esattamente il problema; stabilire quali sono i livelli di tali sostanze ammissibili nell'ambiente e in particolare nelle acque potabili.
Bruno Cardini, che ha lavorato presso il Servizio Sanitario Nazionale e che ha condotto molte battaglie per la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, ci spiega la sua "versione" dei fatti che, vista la sua storia, tecnica e di impegno sociale, merita di essere presa in particolare considerazione: «Sono 500 anni che il chimico/farmacologo Paracelso stabilì che non c'è distinzione tra farmaco e veleno. L'uno o l'altro diventano tali in base alla quantità assunta da una persona. Anche il sale da cucina se assunto in quantità spropositate è tossico, ma senza sale si muore». Sulla base di questo assunto Cardini ci dice che «i livelli delle sostanze incriminate nell'acqua potabile non sono tali da compromettere la salute dei cittadini». Un'affermazione senz'altro forte avvalorata però da numeri e certezze scientifiche che Cardini, armato di grafici, tabelle e studi vari, si prepara ad esporci.
«Tra gli anni '70 e '90 si è determinata la tossicità di tutte le sostanze conosciute riportandole nelle schede di sicurezza dove erano reperibili i dati relativi. Nel caso specifico dei PFAS la scheda di sicurezza è disponibile dal 2005 nel database del NIOSH americano, un ente che si può paragonare all'INAIL italiano». Come riportato sul suo blog http://www.cardinibruno.it i test fatti su cavie (topi e porcellini d'india), dotati di un metabolismo simile a quello umano, hanno riportato livelli di tossicità, in caso di ingestione orale delle sostanze di cui parliamo, per i maschi pari a 178 mg/kg di peso corporeo e 217 mg/kg per le femmine. «Livelli che - dice convinto Cardini - a fronte dei miliardesimi di grammo per litro riscontrati finora nell'acqua potabile fanno escludere con assoluta certezza che le acque siano "avvelenate" come da titoli di giornale».
Ma se le acque non fanno morire possono provocare malattie o essere cancerogene?
«Nel 2006 sono stati rivisti i criteri prudenziali: per prima cosa i PFOA sono stati considerati non cancerogeni, mentre i PFAS probabilmente cancerogeni. L'Istituto Superiore di Sanità, chiamato in causa, ha risposto che, nelle prove su cavia si sono manifestate patologie da un certo livello presente nel sangue e sviluppo di cellule tumorali da un livello molto superiore a quello a cui si manifestano patologie. Non vi sono state evidenze del rapporto tra tumori e PFAS negli esseri umani: per farla semplice non esiste una persona, identificata con nome e cognome, che abbia un tumore derivabile in via certa da PFAS. In tale contesto di incertezza l'ISS (Istituto Superiore di Sanità) ha fissato un livello di qualità (detto di performance) da raggiungere. Il livello era di 300 nano grammi per ogni litro d'acqua.
Fatte queste premesse emergono dubbi (sicuramente differenti dalle opinioni comuni) di Cardini, sulle responsabilità per la presenza di Pfas nelle nostre acque, da molti addossate alla Miteni di Trissino. Ma di questo torneremo a riferirvi domani dopo aver... "digerito" la informazioni che vi abbiamo finora girato con la dovuta attenzione ma senza gridare "al lupo, al lupo" se siamo in una savana. Dove potrebbero esserci , per carità dei leoni ma non certo dei lupi...

Leggi tutti gli articoli su: Cnr, Antonino Cappelleri., Bruno Cardini, pfoa, pfas, IRSA

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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