"Parli bene di noi": così le banche estorcono la soddisfazione dei clienti
Domenica 15 Luglio 2018 alle 16:19 | 0 commenti
Trustpilot è una community online di recensioni nata nel 2007 dall’idea del danese Peter Mühlmann, fondatore ed ora CEO, che ha visto un’opportunità per aiutare chi fa acquisti online. Oggi Trustpilot recensisce circa 180.000 aziende sulla base di circa 32 milioni di segnalazioni dirette degli utenti e cresce al ritmo di oltre un milione di nuove recensioni al mese. Un vero e proprio punto di riferimento per il mercato, una sorta di Tripadvisor per i servizi e-commerce e online, il cui claim è “le opinioni dei consumatori sono tutto per noiâ€. Quelle originali, non artefatte ed edulcorate come avviene nelle indagini di customer satisfaction commissionate dalle banche.
Unicredit, ad esempio, la prima banca del paese, è valutata come “scarsa†sulla base delle recensioni dei consumatori dei servizi online (quelli maggiormente utilizzati oggi in banca).
La customer satisfaction delle banche, nel nostro paese, rimane solo una questione esteriore, di forma. La verità è che da troppo tempo i cittadini, dunque i correntisti (in Italia sono più di trenta milioni), si attendono ben altri comportamenti: gli slogan pubblicitari dovrebbero puntare sulla verità , sulla trasparenza, su informazioni chiare e complete. Ai clienti bisogna dire tutto. Basta con le bugie. La customer satisfaction si realizza con i fatti.
La soddisfazione del cliente deve essere intesa come offerta, da parte delle banche, di comunicazione, prodotti, comportamenti e servizi coerenti tra loro, pensati per soddisfare le necessità del consumatore. È evidente, o perlomeno dovrebbe esserlo, che un cliente soddisfatto è indotto a riacquistare il prodotto finanziario che gli è stato venduto, ad avvalersi della stessa banca con la quale ha già avuto una prima esperienza positiva. Solo così diventa un alleato e incide sul conto economico dell’istituto di credito assai più di quanto riescano a fare derivati e polizze assicurative.
Nel nostro paese le banche, se da un lato, cercano l’opinione del cliente, con l’obiettivo di fornirgli un servizio migliore, dall’altro tentano di circuirlo, di pressarlo o di intimidirlo. Oggi gli si fa pure credere di poter risalire alla sua identità , quando sappiamo benissimo che si tratta di un’enorme bugia. Il decreto legislativo 196 del 30 giugno 2003, il cosiddetto «codice della privacy», impone questionari anonimi alle aziende che si rivolgono alle società incaricate dei sondaggi.
Sapete che cosa succede nelle banche un mese prima che comincino le temute ricerche di mercato? Un po’ quello che capita adesso quando contattate il call center di una compagnia telefonica, e, poco prima che termini la conversazione, vi sentite dire, in tono un po’ imbarazzato: «Tra poco riceverà la telefonata di una società di sondaggi, che vi chiederà di valutare il nostro servizio. Per favore, può dare il voto più alto possibile?».
Ecco, in ambito bancario, ne ho le prove, succede di peggio. Capita che i capi convochino il personale, affidandogli un compito ben preciso: ricordare ai clienti di parlare bene della banca, nel caso fossero contattati da una società di rilevazione dati.
Non solo. Gli stessi dirigenti suggeriscono anche come convincere il cliente a seguire certi consigli (chiamiamoli così…). Per esempio, accompagnandoli con minacce velate, apparentemente bonarie: «Mi raccomando, dica che è contento della qualità dei nostri servizi, perché, se dovesse dichiarare il contrario, sa com’è, resta scritto, si verrebbe a sapere… magari si può creare una situazione spiacevole».
Com’è facile intuire, l’unica a trarre vantaggio dalla «finta soddisfazione» estorta ai clienti è la banca stessa. In questo modo ne guadagna in reputazione e in valutazioni positive da parte degli analisti di settore, tutte «medaglie» che contribuiscono a far crescere le quotazioni degli istituti di credito in Borsa. Ecco, questo per me è un esempio classico di customer satisfaction «alla pizzaiola».
L’impressione è che in Italia non sia mai esistita una vera e propria cultura, manageriale e finanziaria, in grado di valorizzare uno strumento così importante, rivelatosi nel corso degli anni sempre più decisivo nel rafforzare la posizione di un’impresa sul mercato.
Fate presto, Trustpilot (e altri) non scherza!
dal blog di Vincenzo Imperatore ospitato su Il Fatto Quotidiano
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